DL Sostegni: Contributo a fondo perduto domande dal 30 marzo 2021

Con il provvedimento n. 77923 del 23 marzo 2021 l’Agenzia delle Entrate definito il contenuto informativo, le modalità e i termini di presentazione dell’istanza per il riconoscimento del contributo a fondo perduto previsto dall’art. 1, D.L. n. 41/2021 – decreto Sostegni.
Al fine di sostenere gli operatori economici colpiti dall’emergenza da Covid-19, il decreto Sostegni ha previsto l’erogazione di un contributo a fondo perduto per i soggetti esercenti attività d’impresa, arte e professione e di reddito agrario, titolari di partita IVA residenti o stabiliti nel Territorio dello Stato, che nel secondo periodo di imposta antecedente al periodo di entrata in vigore del presente decreto abbiano conseguito un ammontare di ricavi o di compensi non superiore a dieci milioni di euro.
Non possono beneficiare del contributo i soggetti la cui attività risulti cessata alla data di entrata in vigore del decreto o che abbiano attivato la partita IVA successivamente alla predetta data, gli enti pubblici di cui all’art. 74 TUIR, gli intermediari finanziari e società di partecipazione di cui all’art. 162-bis TUIR.
Il contributo, invece, spetta anche agli enti non commerciali, compresi gli enti del terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, in relazione allo svolgimento di attività commerciali.
Il contributo spetta se l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 sia inferiore almeno del 30% dell’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del 2019.
Per i soggetti che hanno attivato la partita IVA a partire dal 1° gennaio 2019, il contributo spetta anche in assenza del suddetto requisito del calo di fatturato/corrispettivi, sempre che rispettino il presupposto del limite di ricavi o compensi di 10 milioni di euro.
L’ammontare del contributo è determinato applicando una percentuale alla differenza tra l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi 2020 e l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi 2019.
Questa percentuale è del 60, 50, 40, 30 e 20% per i soggetti con ricavi o compensi, rispettivamente, non superiori a 100.000 euro, superiori a 100.000 euro e fino a 400.000 euro, superiori a 400.000 euro e fino a un milione di euro, superiori a un milione di euro e fino a 5 milioni di euro, superiori a 5 milioni di euro fino a 10 milioni di euro nel secondo periodo d’imposta antecedente a quello di entrata in vigore del decreto in parola.
Viene garantito comunque un contributo minimo per un importo non inferiore a 1.000 euro per le persone fisiche e a 2.000 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche.
L’importo del contributo riconosciuto non può in ogni caso superare 150.000 euro.
Come richiedere il contributo
Per la richiesta del contributo, i soggetti a cui spetta sono tenuti ad inviare una istanza, esclusivamente in via telematica, all’Agenzia delle Entrate che curerà anche il processo di erogazione del contributo stesso, mediante i canali telematici dell’Agenzia delle entrate ovvero mediante il servizio web disponibile nell’area riservata del portale “Fatture e Corrispettivi” del sito internet dell’Agenzia delle entrate.
L’istanza, oltre ai dati identificativi del soggetto richiedente e del suo rappresentante legale qualora si tratti di un soggetto diverso dalla persona fisica, deve contenere la dichiarazione dell’ammontare dei ricavi o compensi del secondo periodo di imposta antecedente a quello di entrata in vigore del decreto, dell’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 e dell’anno 2019, l’IBAN del conto corrente intestato al codice fiscale del soggetto che ha richiesto il contributo e il codice fiscale dell’intermediario eventualmente delegato alla trasmissione.
La trasmissione dell’Istanza può essere effettuata a partire dal giorno 30 marzo 2021 e non oltre il giorno 28 maggio 2021.
In questo periodo, in caso di errore, è possibile presentare una nuova istanza, in sostituzione dell’istanza precedentemente trasmessa.
L’ultima istanza trasmessa sostituisce tutte quelle precedentemente inviate per le quali non è stato già eseguito il mandato di pagamento del contributo ovvero non sia stato comunicato il riconoscimento del contributo nel caso di scelta di utilizzo dello stesso come credito d’imposta. È possibile, inoltre, presentare una rinuncia all’istanza precedentemente trasmessa, da intendersi come rinuncia totale al contributo.
L’Agenzia delle entrate determina il contributo sulla base delle informazioni contenute nell’istanza e il soggetto richiedente può scegliere, irrevocabilmente, se ottenere il valore totale del contributo come accredito sul conto corrente bancario o postale a lui intestato ovvero come credito d’imposta da utilizzare in compensazione tramite modello F24.
I controlli
Prima di effettuare l’accredito, l’Agenzia delle entrate effettua una serie di controlli sui dati presenti nell’istanza e i dati presenti in Anagrafe Tributaria al fine di individuare anomalie e incoerenze che determinano lo scarto dell’istanza.
Tra i predetti controlli vi è anche quello della verifica che il conto corrente sul quale erogare il bonifico, identificato dal relativo codice IBAN, sia intestato o cointestato al codice fiscale del soggetto richiedente. La verifica è effettuata mediante un servizio realizzato da PagoPa S.p.A. con la quale l’Agenzia delle entrate stipula specifico accordo.
Per le successive attività di controllo dei dati dichiarati si applicano l’art. 31 e seguenti del D.P.R. n. 600/1973 e qualora il contributo sia in tutto o in parte non spettante, l’Agenzia delle Entrate recupera il contributo (in tutto o in parte) non spettante, irrogando le sanzioni dovute.
In ogni caso è consentita la regolarizzazione spontanea da parte del contribuente, mediante restituzione del contributo indebitamente percepito e dei relativi interessi, nonché mediante versamento delle sanzioni a cui è possibile applicare le riduzioni disposte dall’art. 13, D.Lgs. n. 472/1997.
I dati e le informazioni contenute nelle istanze pervenute e relative ai contributi erogati sono trasmesse dall’Agenzia delle Entrate alla Guardia di Finanza per le attività di polizia economico-finanziaria di quest’ultima e al Ministero dell’Interno per i controlli.
Inoltre, in caso di indebita percezione del contributo, si applicano le disposizioni dell’art. 316-ter del Codice penale.

In Gazzetta il Decreto Sostegni, DL 41/2021.

Ė stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 70 del 22 marzo 2021 il decreto Sostegni (D.L. n. 41/2021), in vigore dal 23 marzo 2021, che introduce misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da Covid-19.
Il provvedimento si compone di 43 articoli ed è suddiviso in 5 Titoli:
- Titolo I – Sostegno alle imprese e all’economia;
- Titolo II – Disposizioni in materia di lavoro;
- Titolo III – Misure in materia di sicurezza e salute;
- Titolo IV – Enti Territoriali;
- Titolo V – Altre disposizioni urgenti.

Nuovo contributo a fondo perduto
L’art. 1 (commi da 1 a 9) prevede un nuovo contributo a fondo perduto a favore degli operatori economici colpiti dall’emergenza epidemiologica Covid-19.
In particolare, il contributo è riconosciuto ai soggetti titolari di partita Iva, residenti o stabiliti nel territorio nazionale, che svolgono attività d’impresa, arte o professione o producono reddito agrario.
Il contributo spetta esclusivamente ai soggetti con compensi e ricavi relativi al periodo d’imposta 2019 non superiori a 10 milioni di euro a condizione che l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 sia inferiore almeno del 30% rispetto all’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2019.
Al fine di determinare correttamente i predetti importi, si deve fare riferimento alla data di effettuazione dell’operazione di cessione di beni o di prestazione dei servizi. Per il calcolo della media mensile, i soggetti che hanno attivato la partita IVA dal 1° gennaio 2019 devono considerare i mesi successivi a quello di attivazione della stessa.
Il requisito relativo al calo del fatturato non è richiesto per i soggetti che hanno attivato la partita IVA dal 1° gennaio 2019.
Esclusi:
- i soggetti la cui attività risulti cessata al 23 marzo 2021 (data di entrata in vigore del decreto);
- i soggetti che hanno attivato la partita IVA dopo l’entrata in vigore del decreto;
- gli enti pubblici di cui all’art. 74 del TUIR;
- gli intermediari finanziari e società di partecipazione di cui all’art. 162-bis del TUIR.
L’ammontare del contributo a fondo perduto è determinato in misura pari all’importo ottenuto applicando una percentuale alla differenza tra l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 e l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2019 come segue:
- 60% per i soggetti con ricavi e compensi non superiori a 100.000 euro;
- 50% per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 100.000 euro e fino a 400.000 euro;
- 40% per i soggetti con ricavi e compensi superiori a 400.000 euro e fino a 1 milione di euro;
- 30% per i soggetti con ricavi e compensi superiori a 1 milione di euro e fino a 5 milioni di euro;
- 20% per i soggetti con ricavi e compensi superiori a 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro.
Il contributo è riconosciuto per un importo minimo di:
- 1.000 euro per le persone fisiche;
- 2.000 euro per i soggetti diversi.
In ogni caso, l’importo massimo spettante non supererà i 150.000 euro.
A scelta irrevocabile, il contributo potrà essere erogato tramite bonifico bancario direttamente sul conto corrente intestato al beneficiario o come credito d’imposta, da utilizzare esclusivamente in compensazione tramite modello F24.
Al fine di ottenere il contributo a fondo perduto, dovrà essere presentata, esclusivamente in via telematica, un’istanza all’Agenzia delle Entrate con l’indicazione della sussistenza dei requisiti richiesti. La domanda dovrà essere trasmessa, anche per il tramite degli intermediari abilitati, entro 60 giorni dalla data di avvio della procedura telematica per la presentazione della stessa.
Le modalità di effettuazione della richiesta, il suo contenuto e i termini di presentazione della stessa saranno definiti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.
Con riferimento alle modalità di erogazione del contributo, al regime sanzionatorio e alle attività di controllo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 25, commi da 9 a 14 del decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020).
Il contributo spetta nei limiti del Quadro temporaneo per gli aiuti di Stato.

Registri Iva precompilati
Il comma 10 interviene sul comma 1 dell’art. 4 del D.Lgs. n. 127/2015, modificato, da ultimo, dall’art. 1, comma 1106, della legge di Bilancio 2021 (legge n. 178/2020), rinviando alle operazioni IVA effettuate dal 1° luglio 2021 il termine a partire dal quale saranno messi a disposizione dei contribuenti i registri Iva precompilati e le liquidazioni periodiche Iva precompilate.
Le bozze della dichiarazione annuale Iva, oltre alle bozze dei registri IVA e delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche IVA, saranno messe a disposizione dall’Agenzia delle Entrate a partire dalle operazioni Iva effettuate dal 1° gennaio 2022.
Contributo per le attività con sede in centri commerciali e in favore delle “Città Santuario”
Il comma 11, sempre dell’art. 1:
- dispone l’abrogazione del contributo a fondo perduto di cui all’art. 1, commi 14-bis e 14-ter, del decreto Ristori (D.L. n. 137/2020), in favore degli operatori con sede nei centri commerciali e degli operatori delle produzioni industriali del comparto alimentare e delle bevande;
- limita il contributo a fondo perduto in favore delle “Città Santuario” di cui all’art. 59, comma 1, lettera a), del decreto Agosto (D.L. n. 104/2020), ai comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti.

Aiuti di Stato
Con i commi da 13 a 17 si consente di fruire di alcune misure di aiuto autorizzate dalla Commissione europea, o per le quali è necessaria l’autorizzazione della Commissione europea, anche sulla base della Sezione 3.12 (“Aiuti sotto forma di sostegno a costi fissi non coperti”) del Quadro temporaneo per gli aiuti di Stato qualora ne ricorrano i presupposti, quando i massimali previsti dalla Sezione 3.1 (“Aiuti di importo limitato”) non sono sufficienti e pregiudicherebbero pertanto l’effettivo diritto alla fruizione degli aiuti ammissibili sulla base della normativa nazionale.
In particolare, la predetta possibilità di scegliere se applicare la Sezione 3.1 o la Sezione 3.12 è prevista per:
- l’art. 24 del decreto Rilancio (D.L. 34/2020) – Cancellazione del versamento del saldo Irap 2019 e della prima rata dell’acconto 2020;
- l’art. 25 del decreto Rilancio, gli artt. 1, 1-bis, 1-ter del decreto Ristori (D.L. 137/2020), l’art. 2 del decreto Natale (D.L. 172/2020) e i commi da 1 a 9 dell’art. 1 dello stesso decreto Sostegni – Contributi a fondo perduto;
- l’art. 28 del decreto Rilancio, gli artt. 8 e 8-bis del decreto Ristori e l’articolo 2-bis del decreto Natale – Credito d’imposta per i canoni di locazione di immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda;
- l’art. 120 del decreto Rilancio – Credito d’imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro;
- l’art. 129-bis del decreto Rilancio – Disposizioni in materia di imposte dirette e di accise nel Comune di Campione d’Italia;
- l’art. 177 del decreto Rilancio, i commi 1 e 3 dell’art. 78 del decreto Agosto (D.L. 104/2020), gli artt. 9, 9-bis, 9-ter, comma 1 del decreto Ristori, l’art. 1, commi da 599 a 602 della legge di Bilancio 2021 (legge 178/2020) – Esenzioni dall’IMU.
È demandato ad un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze il compito di definire le modalità attuative.
Al comma 17 viene precisato che ai fini della disposizione si applica la definizione di impresa unica contenuta nella disciplina europea sugli aiuti di Stato “de minimis”.

Fondo per il turismo invernale
L’art. 2 istituisce un fondo, con una dotazione di 700 milioni di euro per l’anno 2021, destinato alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano per la concessione di contributi in favore dei soggetti esercenti attività di impresa di vendita di beni o servizi al pubblico, svolte nei Comuni a vocazione montana appartenenti a comprensori sciistici.

Fondo autonomi e professionisti
Con l’art. 3 viene aumentato da 1 a 2,5 miliardi lo stanziamento del Fondo per l’esonero dai contributi previdenziali per autonomi e professionisti di cui all’art. 1 della legge di Bilancio 2021 (legge n. 178/2020).
Viene altresì specificato che il beneficio è concesso ai sensi della sezione 3.1 del Quadro temporaneo per gli aiuti di Stato e che la sua efficacia è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea.

Sospensione delle attività dell’agente dalla riscossione
L’art. 4, comma 1, lettera a), slitta dal 28 febbraio 2021 al 30 aprile 2021 il periodo sospensione del versamento delle somme derivanti da cartelle di pagamento, avvisi di addebito e avvisi di accertamento affidati all’Agente della riscossione.
Con il comma 4 viene invece stabilito che le comunicazioni di inesigibilità relative alle quote affidate agli agenti della riscossione nell’anno 2018, nell’anno 2019, nell’anno 2020 e nell’anno 2021 sono presentate, rispettivamente, entro il 31 dicembre 2023, entro il 31 dicembre 2024, entro il 31 dicembre 2025 e entro il 31 dicembre 2026.

Rottamazione ter e saldo e stralcio
La lettera b) del comma 1 dell’art. 4, prevede che le rate della rottamazione ter e del saldo e stralcio scadenti nell’anno 2020 possono essere versate integralmente entro il 31 luglio 2021, mentre le rate in scadenza il 28 febbraio, il 31 marzo, il 31 maggio e il 31 luglio 2021 possono essere versate entro il 30 novembre 2021 (sono riconosciuti 5 giorni di tolleranza).

Proroga termini di riscossione e decadenza
Viene altresì disposto (articolo 4, comma 1, lettera b) che con riferimento ai carichi, relativi alle entrate tributarie e non tributarie, affidati all’agente della riscossione dall’8 marzo 2020 al 30 aprile 2021 e, successivamente, fino alla data del 31 dicembre 2021, nonché, anche se affidati dopo lo stesso 31 dicembre 2021, a quelli relativi alle dichiarazioni presentate nell’anno 2018, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione (art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972), alle dichiarazioni dei sostituti d’imposta presentate nell’anno 2017 per le somme che risultano dovute a seguito della liquidazione definitiva dell’indennità di fine rapporto e delle prestazioni pensionistiche (articoli 19 e 20 TUIR), alle dichiarazioni delle imposte sui redditi presentate nell’anno 2017, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale (art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973), sono prorogati:
- di 12 mesi il termine di notifica della cartella ai fini del riconoscimento del diritto al discarico delle somme iscritte a ruolo (ex art. 19, comma 2, lettera a, D.lgs. n. 112/1999)
- di 24 mesi (anche in deroga alle disposizioni dell’art. 3, comma 3, della legge n. 212/2000, e a ogni altra disposizione di legge vigente) i termini di decadenza e prescrizione relativi alle predette entrate.

Pignoramenti su stipendi e pensioni
Con il comma 2 dell’art. 4 si differisce dal 28 febbraio 2021 al 30 aprile 2021 il termine finale della sospensione (disciplinata dall’articolo 152, comma 1, del decreto Rilancio) degli obblighi di accantonamento derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati su stipendi, salari, altre indennità relative al rapporto di lavoro o impiego, nonché a titolo di pensioni e trattamenti assimilati.

Annullamento dei carichi
Il comma 4 sempre dell’art. 4 prevede la cancellazione automatica dei debiti di importo residuo fino a 5.000 euro (comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni) risultanti da singoli carichi affidati agli adenti della riscossione dal 2000 al 2010 (anche se ricompresi nelle varie forme di rottamazione):
- alle persone fisiche che hanno percepito, nell’anno d’imposta 2019, un reddito imponibile fino a 30.000 euro;
- ai soggetti diversi dalle persone fisiche che hanno percepito, nel periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2019, un reddito imponibile fino a 30.000 euro.

Definizione agevolata degli avvisi bonari
L’art. 5 prevede la possibilità di definire in via agevolata le somme dovute a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni relative ai periodi di imposta 2017 e 2018. La misura interessa i soggetti con partita IVA attiva al 23 marzo 2021 (data di entrata in vigore del decreto) che hanno subito una riduzione maggiore del 30% del volume d’affari dell’anno 2020 rispetto al volume d’affari dell’anno precedente, e consiste nell’abbattimento delle sanzioni e delle somme aggiuntive richieste con le comunicazioni di irregolarità previste dagli articoli 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, e 54-bis del D.P.R. n. 633/1972.

Allerta IVA del Fisco
Il comma 14 sempre dell’art. 5 differisce di un anno la decorrenza dell’obbligo di segnalazione previsto a carico dall’Agenzia delle Entrate dall’art. 15, comma 7, del Codice della crisi d’impresa (D.lgs. n. 14/2019).
Per effetto dalla modifica, l’obbligo di segnalazione del creditore fiscale decorrerà dalle comunicazioni della liquidazione periodica IVA relative al primo trimestre del secondo anno d’imposta successivo all’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa (fissata al prossimo 1° settembre 2021), anziché dall’anno d’imposta successivo.
Leggi anche Procedure di allerta: rinviato al 2023 l’obbligo di segnalazione del debito IVA scaduto e non versato

Imposta sui servizi digitali
Il successivo comma 15, modificando l’art. 1, comma 42, della legge n. 145/2018, proroga, al 16 maggio di ciascun anno, del versamento dell’imposta sui servizi digitali, e, al 30 giugno di ciascun anno, della presentazione della dichiarazione.

Conservazione fatture elettroniche
Il comma 16 prevede invece che le fatture elettroniche 2019 possono essere portate in conservazione entro il 10 giugno 2021.

Proroghe adempimenti fiscali
Con il comma 19 slitta al 31 marzo 2021 il termine per l’invio da parte dei sostituti delle certificazioni uniche, mentre il comma 20 differisce al 31 marzo 2021 il termine entro cui i sostituti d’imposta devono consegnare le certificazioni uniche agli interessati.
Il comma 21 proroga dal 16 marzo al 31 marzo 2021 la trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate, da parte dei soggetti terzi, dei dati relativi a oneri e spese sostenuti dai contribuenti delle spese sanitarie rimborsate nonché degli altri dati riguardanti deduzioni o detrazioni.
Il comma 22, infine, sposta al 10 maggio 2021 il termine entro cui l’Agenzia delle entrate mette a disposizione dei contribuenti la dichiarazione dei redditi precompilata.

Proroga CIG
L’art. 8 proroga la cassa integrazione Covid-19. In particolare, viene prevista la possibilità, per i datori di lavoro che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica, di richiedere:
- fino a 13 settimane di cassa integrazione ordinaria con causale “emergenza COVID-19”, da utilizzare nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 30 giugno 2021;
- fino a 28 settimane di assegno ordinario e CIG in deroga, da utilizzare nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2021.

Per i trattamenti concessi non è dovuto alcun contributo addizionale.
Prorogata anche la CISOA per i lavoratori agricoli, per una durata massima di 120 giorni da fruire tra il 1° aprile e il 31 dicembre 2021 (comma 8).

Blocco licenziamenti
Al comma 9 viene confermato il blocco generalizzato dei licenziamenti individuali e collettivi:
- fino al 30 giugno 2021, per i lavoratori delle aziende che dispongono di CIG ordinaria e CIG straordinaria;
- fino al 31 ottobre 2021, per i lavoratori delle aziende coperte da strumenti in deroga.
Il divieto di licenziamento non si applica:
- nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa;
- dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività;
- nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile;
- nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.
A detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’art. 1 del D.lgs. n. 22/2015. Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

Indennità per lavoratori atipici, spettacolo, stagionali
All’art. 10 viene riconosciuta un’indennità di 2.400 euro per le seguenti categorie di lavoratori:
- ai lavoratori stagionali del turismo, degli stabilimenti termali, dello spettacolo e agli incaricati alle vendite, già beneficiari delle indennità di cui agli articoli 15 e 15 bis del decreto Ristori (D.L. n. 137/2020);
- ai lavoratori dipendenti stagionali del settore del turismo e degli stabilimenti termali che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 23 marzo 2021 (data di entrata in vigore del decreto), che abbiano svolto la prestazione lavorativa per almeno 30 giornate nel medesimo periodo, non titolari di pensione né di rapporto di lavoro dipendente né di NASpI al 23 marzo 2021;
- ai lavoratori in somministrazione, impiegati presso imprese utilizzatrici operanti nel settore del turismo e degli stabilimenti termali, che abbiano cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 23 marzo 2021 e che abbiano svolto la prestazione lavorativa per almeno 30 giornate nel medesimo periodo, non titolari di pensione né di rapporto di lavoro dipendente né di NASpI al 23 marzo 2021;
- ai lavoratori stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 23 marzo 2021 e che abbiano svolto la prestazione lavorativa per almeno 30 giornate nel medesimo periodo;
- ai lavoratori intermittenti che abbiano svolto la prestazione lavorativa per almeno 30 giornate nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 23 marzo 2021;
- ai lavoratori autonomi, privi di partita IVA, non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, che nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 23 marzo 2021 siano stati titolari di contratti autonomi occasionali riconducibili alle disposizioni di cui all’articolo 2222 del codice civile e che non abbiano un contratto in essere al 23 marzo 2021. Gli stessi, per tali contratti, devono essere già iscritti alla data del 17 marzo 2020 alla Gestione separata, con accredito nello stesso arco temporale di almeno un contributo mensile
- agli incaricati alle vendite a domicilio con reddito annuo 2019 derivante dalle medesime attività superiore a 5.000 euro e titolari di partita IVA attiva e iscritti alla Gestione Separata al 23 marzo 2021 e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie;
- ai lavoratori dello spettacolo con almeno 30 contributi giornalieri versati dal 1° gennaio 2019 al 23 marzo 2021 al medesimo Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo, con un reddito riferito all’anno 2019 non superiore a 75.000 euro, e non titolari di pensione né di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, diverso;
- ai lavoratori a tempo determinato dei settori del turismo e degli stabilimenti termali in possesso cumulativamente dei requisiti di seguito elencati:
a) titolarità nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 23 marzo 2021 del decreto di uno o più contratti di lavoro a tempo determinato nel settore del turismo e degli stabilimenti termali, di durata complessiva pari ad almeno 30 giornate;
b) titolarità nell’anno 2018 di uno o più contratti di lavoro a tempo determinato o stagionale nel settore del turismo e degli stabilimenti termali di durata complessiva pari ad almeno 30 giornate;
c) assenza di titolarità, al 23 marzo 2021, di pensione e di rapporto di lavoro dipendente.

Nuova indennità per i lavoratori sportivi
I commi da 10 a 14, sempre dell’art. 10 prevedono, invece, l’erogazione da parte della società Sport e Salute S.p.A.), di un’indennità, nel limite massimo di 350 milioni di euro per l’anno 2021, in favore dei lavoratori impiegati con rapporti di collaborazione presso il Coni, il Comitato Italiano Paralimpico, le federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate, gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni e dal Cip, le società e associazioni sportive dilettantistiche, i quali, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività.
Ai fini dell’erogazione delle indennità, si considerano cessati a causa dell’emergenza epidemiologica anche tutti i rapporti di collaborazione scaduti entro la data del 30 dicembre 2020 e non rinnovati.
L’indennità sarà pari a:
- 1.200 euro, per i soggetti che, nell’anno di imposta 2019, hanno percepito compensi relativi ad attività sportiva in misura inferiore ad euro 4.000 annui;
- 2.400 euro, per i soggetti che, nell’anno di imposta 2019, hanno percepito compensi relativi ad attività sportiva in misura compresa tra 4.000 e 10.000 euro annui;
- 3.600 euro, per i soggetti che, nell’anno di imposta 2019, hanno percepito compensi relativi ad attività sportiva in misura superiore ai 10.000 euro annui.

Reddito di emergenza
L’art. 12 riconosce l’erogazione di 3 mensilità – da marzo a maggio 2021 – del reddito di emergenza (REM) ai nuclei familiari in condizioni di necessità economica in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Adeguamenti statutari ETS
L’art. 14, comma 2, interviene di nuovo sull’art. 101 comma 2, del Codice del Terzo settore (di cui al D.lgs. n. 117/2017), prorogando dal 31 marzo 2021 al 31 maggio 2021 il termine entro cui ONLUS, ODV e APS costituite prima del 3 agosto 2017 possono effettuare gli adeguamenti statutari con procedura semplificata (cioè con le maggioranze previste per l’assemblea ordinaria).

Lavoratori fragili
L’art. 15 estende fino al 30 giugno 2021 le tutele disposte a favore dei lavoratori fragili dall’art. 26 del decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020). In particolare, viene prorogata fino al 30 giugno 2021 la possibilità per i dipendenti (pubblici o privati) con immunodeficienze e disabilità certificate di svolgere le loro attività in modalità di lavoro agile. Nel caso in cui detti lavoratori fragili non possano svolgere il lavoro in smart working o non usufruiscano della cassa integrazione guadagni, viene confermata fino al 30 giugno 2021 l’equiparazione delle assenze dal lavoro al ricovero ospedaliero.
Viene inoltre stabilito che i periodi di assenza dal servizio non sono computabili ai fini del periodo di comporto e, per i lavoratori in possesso del predetto riconoscimento di disabilità, non rilevano ai fini dell’erogazione delle somme corrisposte dall’INPS, a titolo di indennità di accompagnamento.

Novità per Naspi
All’art. 16 viene previsto che a decorrere dal 23 marzo 2021 e fino al 31 dicembre 2021 l’indennità Naspi è concessa a prescindere dalla sussistenza del requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.
Contratti a termine
L’art. 17 dispone la proroga, dal 31 marzo 2021 al 31 dicembre 2021, della possibilità per i datori di lavoro di rinnovare o prorogare per un periodo massimo di 12 mesi (ferma restando la durata massima complessiva di 24 mesi) e per una volta sola, i contratti di lavoro subordinato a termine, anche in assenza delle causali di cui all’art. 19, comma 1 del D.Lgs. n. 81/2015.
Esonero contributivo per le filiere agricole
L’art. 19 riconosce alle aziende appartenenti alle filiere agricole, della pesca e dell’acquacoltura, comprese le aziende produttrici di vino e birra, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, per la quota a carico dei datori di lavoro per la mensilità relativa a gennaio 2021.
Fondo per il sostegno delle attività economiche particolarmente colpite dall’emergenza
Con l’art. 26 viene istituito un Fondo da 200 milioni di euro, da ripartire tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, da destinare al sostegno delle categorie economiche particolarmente colpite dall’emergenza da COVID-19, comprese le imprese esercenti attività commerciale o di ristorazione operanti nei centri storici e le imprese operanti nel settore dei matrimoni e degli eventi privati.

Esonero versamento canone unico
L’articolo 30 proroga dal 31 marzo al 30 giugno 2021 l’esenzione dal versamento del canone unico di cui ai commi 816 e seguenti della legge n. 160/2019. Il beneficio fiscale riguarda le occupazioni effettuali dalle imprese di pubblico esercizio di cui all’articolo 5 della legge n. 287/1991 e le occupazioni temporanee che vengono realizzate per l’esercizio dell’attività mercatale.
Vengono inoltre confermate fino al 31 dicembre 2021 le modalità semplificate di presentazione delle domande di concessioni per l’occupazione del suolo pubblico e di misure di distanziamento di posa in opera temporanea di strutture amovibili.
Riforma dello sport
Con i commi da 7 a 11, sempre dell’articolo 30, viene slittata al 1° gennaio 2022 l’entrata in vigore dei decreti delegati contenenti la riforma dello sport (Decreti legislativi 36/2021, 37/2021, 38/2021, 39/2021 e 40/2021), pubblicati nelle Gazzette Ufficiali n. 67 del 18 marzo 2021 e 68 del 19 marzo 2021.
Confermata invece al 1° luglio 2022 l’entrata in vigore della riforma del lavoro sportivo.

Sostegno alle grandi imprese
All’art. 37 viene prevista l’istituzione di un Fondo di 200 milioni, attraverso cui saranno concessi finanziamenti della durata di 5 anni, a favore delle grandi imprese che si trovano in situazione di temporanea difficoltà finanziaria in relazione alla crisi economica connessa con l’emergenza epidemiologica da Covid.
Ammesse anche le imprese in amministrazione straordinaria.

Ristoro per annullamento di fiere e congressi
Con l’art. 38, commi da 3 a 5, si istituisce un fondo con una dotazione pari a 100 milioni di euro per l’anno 2021 destinato al ristoro delle perdite derivanti dall’annullamento, dal rinvio o dal ridimensionamento, in seguito all’emergenza epidemiologica da Covid-19, di fiere e congressi.
Sarà un decreto del Ministro del turismo a definire la ripartizione degli importi e la concreta attuazione delle misure di ristoro.
Rifinanziamenti vari
Viene previsto il rifinanziamento:
- di 400 milioni di euro per l’anno 2021 e di 80 milioni di euro per l’anno 2022 del Fondo sociale per occupazione e formazione istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (art. 9);
- di 1 miliardo di euro del Reddito di cittadinanza (art. 11);
- di 10 milioni di euro per l’anno 2021 del Fondo per il reddito di ultima istanza per i professionisti (art. 13);
- di 100 milioni di euro per l’anno 2021 del Fondo straordinario per il sostegno degli enti del Terzo settore (art. 14);
- di 103,1 milioni di euro per l’anno 2021 del Fondo a tutela dei lavoratori fragili (art. 15).
- di 200 milioni, per l’anno 2021, la dotazione del Fondo di parte corrente di cui all’articolo 89, comma 1, del D.L. 18/2020 destinato al sostegno delle emergenze dei settori dello spettacolo, del cinema e dell’audiovisivo (art. 36).
- di euro 150 milioni di euro per l’anno 2021 il Fondo di cui all’art. 72, comma 1, del decreto Cura Italia (D.L. 18/2020) per la concessione di contributi a fondo perduto commisurati ai costi fissi sostenuti dal 1° marzo 2020 e non coperti da utili a favore di enti fieristici italiani, costituiti in forma di società di capitali nonché delle imprese aventi come attività prevalente l’organizzazione di eventi fieristici di rilievo internazionale (articolo 38);
- di 150 milioni di euro il Fondo per lo sviluppo e il sostegno delle filiere agricole, della pesca e dell’acquacoltura (art. 39).

Compatibilità dell’azione revocatoria nelle operazioni di scissione.

Si sta consolidando un orientamento della giurisprudenza di legittimità che dichiara applicabili all’operazione societaria di scissione la disciplina dell’azione revocatoria ordinaria e la possibilità di fallimento anche in caso di scissione totale.
La scissione costituisce infatti un’operazione potenzialmente pericolosa per i creditori delle società partecipanti all’operazione. In particolare, si possono verificare diversi effetti pregiudizievoli nei confronti dei creditori:
- nel caso più semplice, la potenzialità di pregiudizio riguarda i creditori della scissa, le cui ragioni di credito rimangano imputate post scissione alla scissa medesima, in quanto l’operazione di scissione sottrae loro elementi patrimoniali sui quali essi avrebbero potuto soddisfarsi;
- in altre ipotesi, i creditori della scissa, le cui ragioni di credito sono imputate alla beneficiaria, sono pregiudicati dal fatto che vengono a concorrere con i creditori della beneficiaria, oltre al fatto che vengono loro sottratti gli elementi patrimoniali rimasti alla scissa;
- i creditori di una beneficiaria preesistente potrebbero essere pregiudicati dall’instaurarsi di un concorso fra loro con i creditori della scissa.
Il tema potrebbe essere di interesse anche quando la scissione viene utilizzata per ledere i diritti dei creditori di un socio, il quale mediante la scissione stessa ricorre a una forma di “assegnazione” degli asset a società in cui la sua partecipazione viene fittiziamente diluita.
La revocatoria
In passato, alcune pronunce di merito avevano raggiunto la conclusione secondo la quale l’azione revocatoria ordinaria sarebbe incompatibile con il sistema di garanzie previsto per la stabilità della scissione. Infatti, tenuto conto che l’effetto principale delle azioni revocatorie è quello di fornire ai creditori un rimedio che consenta il soddisfacimento sui beni usciti dal patrimonio del debitore attraverso un meccanismo di inefficacia (relativa) dell’atto di disposizione lesivo della loro garanzia, la tutela dei creditori della società scissa è già garantita dal diritto di opposizione alla scissione disposto dall’art. 2503 c.c. e dalla responsabilità solidale (art. 2506-quater) nei limiti del patrimonio assegnato. Si vedano a questo proposito, tra le sentenze più recenti, Tribunale Napoli, 26 novembre 2018; Corte d’Appello di Catania 19 settembre 2017, n. 1649; Tribunale Roma, 7 novembre 2016, n. 5241; Tribunale Bologna, 1° aprile 2016, n. 861; Tribunale Roma, 19 ottobre 2015.
Peraltro, secondo numerose sentenze avverse, l’azione revocatoria della scissione sarebbe ammissibile, in quanto il concetto di “atto di disposizione del patrimonio con il quale il creditore rechi pregiudizio al suo patrimonio” previsto all’art. 2901 c.c. ricomprenderebbe non solo gli atti traslativi in senso civilistico, bensì ogni atto idoneo a rendere incapiente il patrimonio del debitore (da ultimo, si vedano Tribunale Pescara, 4 maggio 2017; Tribunale Roma, 16 agosto 2016; Tribunale Venezia, 5 febbraio 2016, n. 293; Tribunale Milano, 9 luglio 2015, n. 8480).
Il tema riguarda quindi, sotto il profilo dottrinario, la sovrapposizione di strumenti diversi a tutela dei creditori.
Il diritto di opposizione spettante ai creditori, i cui crediti sono anteriori alla pubblicazione del progetto di scissione, è diverso dalle ragioni di credito proprie delle azioni revocatorie. Il rimedio societario consente di impedire l’operazione stessa, mentre la revocatoria tende a rendere inopponibili gli atti dispositivi compiuti in pregiudizio del creditore e, quindi, a rendere relativamente inefficace ex post la scissione. Per questo motivo un filone della dottrina e della giurisprudenza concludono che solo la revocatoria sarebbe un rimedio idoneo a tutelare la par condicio creditorum.
L’opposizione, inoltre, è esperibile solo dai creditori già esistenti e non da chi è divenuto tale successivamente all’operazione, mentre l’azione revocatoria ha una portata più ampia, dato che è esperibile anche da questi ultimi.
Proprio su questi aspetti, negli ultimi tempi registriamo innanzi tutto la presa di posizione della Corte di Cassazione, che ritiene possibile la revocatoria ordinaria della scissione tenuto conto che nessuna norma di diritto positivo impedisce di riconoscere ai creditori contestualmente sia l’opposizione quale rimedio di natura cautelativa, sia l’azione revocatoria fallimentare diretta a rimuovere la lesione della par condicio creditorum (sentenza n. 31654 del 4 dicembre 2019).
Sotto un profilo più generale anche la Corte di Giustizia comunitaria (causa n. C-394/18 del 30 gennaio 2020) ha stabilito che è compatibile con il diritto europeo la possibilità di esercitare un’azione revocatoria prevista dall’art. 2901 c.c. da parte dei creditori nei confronti di una società che ha depauperato il proprio patrimonio mediante attribuzione di parte dello stesso a una beneficiaria in sede di un’operazione di scissione. Secondo le conclusioni della Corte:
- l’art. 12 della sesta direttiva n. 82/891/CEE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che, dopo la realizzazione di una scissione, i creditori della società scissa, i cui diritti siano anteriori a tale scissione e che non abbiano fatto uso degli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla normativa nazione in applicazione di detto articolo 12, possano intentare un’azione pauliana al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e di proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alle società di nuova costituzione;
- l’art. 19 della direttiva n. 82/891/CEE, il quale prevede il regime della nullità della scissione, deve essere interpretato nel senso che esso non osta all’introduzione, dopo la realizzazione di una scissione, da parte dei creditori della società scissa, di un’azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma soltanto consenta di rendere quest’ultima inopponibile a tali creditori.
Peraltro, la presa di posizione della Corte Europea non è del tutto esente da critiche: “la revocatoria – anche se su un piano astratto possa dirsi ricevibile nel vigente sistema societario, come di recente affermato a livello europeo – non sembra intercettare interessi nuovi, diversi o maggiori rispetto a quelli che la tutela oppositiva generale, o quella speciale esecutiva basata sulla solidarietà passiva limitata e sul risarcimento di eventuali danni da scissione, può già efficacemente prestare in applicazione delle norme in parola.” (Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 117-2020/A, “Scissione di società e revocatoria: un arretramento della corte di giustizia nel processo di modernizzazione del diritto societario dell’unione europea” di Dario Latella).
Ancora più recentemente, la sentenza 29 gennaio 2021, n. 2153 della Cassazione ha ribadito la possibilità di esperire una azione revocatoria a seguito di una operazione di scissione societaria come strumento di ulteriore rafforzamento delle garanzie dei creditori oltre a quelli offerti dalle regole proprie della scissione (facoltà di opposizione preventiva). Secondo i giudici della Suprema Corte, infatti, “deve essere, in conseguenza, riconosciuta la concorrente ammissibilità della opposizione ex articolo 2503 del codice civile, e dell’azione revocatoria ordinaria ex articolo 2901 del codice civile e di quella esperita dal curatore fallimentare ai sensi dell’articolo 66 della Legge Fallimentare, non ostandovi né il sistema endoprocedimentale, che prevede la possibilità di opposizione preventiva alla efficacia dell’atto pubblico di scissione, né la preclusione alle impugnazioni di invalidità dell’atto di scissione dopo che è stata eseguita l’ultima iscrizione nel registro delle imprese, né la previsione di solidarietà limitata ai valori patrimoniali trasferiti disposta a favore del creditore.”
Il fallimento
A completamento del quadro giurisprudenziale, va tenuto conto delle recenti pronunce della Cassazione (n. 4737 del 21 febbraio 2020 e n. 11984 del 19 giugno 2020) che hanno dichiarato applicabile la legge fallimentare anche dopo un’operazione di scissione.
Il punto di riferimento di base delle argomentazioni della Suprema Corte è rappresentato dalla sussistenza di una società (la scindenda) che, al momento dell’operazione di scissione, risulta di per sé pienamente fallibile, sia sotto il profilo soggettivo, che sotto il profilo oggettivo. Nel vigente sistema normativo, un fenomeno di riorganizzazione societario – quale è la scissione – come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell’impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali.
Peraltro, la responsabilità delle beneficiarie per i debiti propri della società scissa, sancita dalle norme del Codice civile non vale a eliminare la responsabilità della società scissa.
Infatti, la sentenza n. 11984 del 19 giugno 2020, che riguarda una scissione totale, conclude che “in caso di scissione, si determina sempre un rapporto di successione tra soggetti distinti, con la conseguenza che non è preclusa la dichiarazione del fallimento della società entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese. Del resto, diversamente ragionando si potrebbe correre il rischio di favorire operazioni negoziali volte proprio, in prossimità della decozione e della dichiarazione di fallimento delle società, a determinare la trasformazione, pur consentita dall’ordinamento, di quest’ultime in enti ovvero altre entità giuridiche non fallibili, non consentendo l’apertura del concorso dei creditori sui beni della società debitrice”.

Societa’ di comodo, il punto della giurisprudenza. Interpello non obbligatorio per la Cassazione.

L’art. 30 della legge n. 724/1994 – più volte modificato nel corso degli anni – con l’obiettivo di contrastare maggiormente i fenomeni elusivi, detta la disciplina delle società non operative, intendendosi per tali quei soggetti, aventi la forma societaria di capitali e/o di persone, che – salvo prova contraria – conseguono un ammontare di ricavi inferiore alla somma degli importi risultanti dall’applicazione dei coefficienti stabiliti dalla medesima disposizione. In pratica, il legislatore ha previsto una disciplina antielusiva basata sul presupposto che alcuni beni patrimoniali, appositamente individuati, siano in grado, in modo oggettivo, di generare un livello minimo di reddito.
La normativa in esame ha lo scopo evidente di penalizzare quelle società che al di là dell’oggetto sociale dichiarato, sono state costituite per gestire il patrimonio nell’interesse dei soci, anziché per esercitare un’effettiva attività commerciale.

Di norma l‘Ufficio ridetermina il reddito d’impresa e il valore della produzione netta della società ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724/1994 che non ha presentato istanza di disapplicazione della disciplina sulle società di comodo e non supera il test di operatività
Il contribuente interessato, a questo punto, impugna l’atto impositivo eccependo in genere che la disciplina sulle società di comodo non sia applicabile nei suoi riguardi, per le più svariate ragioni.
La giurisprudenza di merito non sempre condivide la tesi dei contribuenti anche a fronte delle controdeduzioni degli Uffici che in genere eccepiscono la mancata proposizione dell’interpello disapplicativo ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8 del D.P.R. n. 600/1973, da considerarsi un adempimento ineludibile e non facoltativo oltre che l’unica modalità per affrancarsi dall’applicazione delle norme sul reddito presunto, nonché dalle penalizzazioni in materia di Iva.
In genere questi contenziosi finiscono al vaglio della Corte di Cassazione.
Salvi casi particolari, in queste ipotesi le società anche davanti ai giudici di legittimità deducono principalmente che:
a) il contribuente possa sempre impugnare l’avviso di accertamento al fine di far accertare l’insussistenza delle condizioni per l’applicazione della disciplina antielusiva sulle società di comodo, anche senza aver previamente presentato istanza di interpello disapplicativo,
b) l’interpello non rappresenta una condizione indefettibile per accedere alla tutela giurisdizionale, ma soltanto un presupposto per l’avvio del procedimento di verifica, nell’ambito del quale l’interessato è ammesso a dimostrare in via preventiva l’inesistenza di una finalità elusiva, pur ricorrendo gli indici indicati nell’art. 30 comma 1, legge n. 724/1994;
c) l’eventuale decisione intermedia della commissione di merito di non consentire la possibilità di dimostrare in giudizio le situazioni oggettive di carattere straordinario idonee a vincere la presunzione legale di non operatività, si pone in contrasto con il diritto di difesa.

L’interpretazione di legittimità
La presunzione legale di inoperatività che ne deriva, che ha carattere relativo, si fonda sostanzialmente sulla massima d’esperienza per la quale non vi può essere di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. n. 6195/2017)
In particolare, secondo il comma 1 dell’art. 30 una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico, è inferiore a un ricavo presunto, calcolato attraverso il c.d. test di operatività.
Lo status di società non operativa – risultante dall’applicazione dei parametri, – non è però permanente, ma va accertato anno per anno, ben potendo una società essere non operativa in un determinato esercizio sociale, ed operativa in quello successivo (cfr. Cass. n. 4850/2020, Cass. n. 12829/2017)
Questi soggetti, quindi, al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma, sono considerati “di comodo” e, di conseguenza, sono assoggettati alla disciplina delle società non operative ed ai relativi adempimenti, compresi la liquidazione e, qualora siano soggetti IRES, al versamento dell’imposta con aliquota maggiorata.

Secondo la Cassazione la determinazione dell’imponibile deve essere effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, fatta salva la prova contraria da parte del contribuente che deve dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (Cass. n. 24738 e n. 10157 del 2020, n. 13699/2016).
Sul punto è stato chiarito che le oggettive situazioni di carattere straordinario non devono essere considerate in termini assoluti ma più elastici, avendo riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass. n. 24738 e n. 10158 del 2020, n. 4019/2019).
Tali situazioni, infatti, non devono essere individuate alla stregua di un criterio rigido e stringente, dovendo, piuttosto, ritenersi idoneo a vincere la presunzione legale di non operatività, ogni specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che abbia impedito di conseguire ricavi nella misura minima legale. Ad esempio, il ritardo nell’avvio della produzione provocato dal protrarsi della fase preparatoria – nella quale si inserisce anche la realizzazione dell’impianto industriale strumentale allo svolgimento dell’attività di impresa – può assumere rilevanza quale causa di esclusione purché risulti quanto meno la programmazione di un’attività commerciale e il contribuente non si limiti a dedurre il ritardo nell’avvio dell’attività produttiva, ma dimostri che lo stesso non sia dipeso da un proprio comportamento, ma da ragioni estranee alla propria volontà (Cass. n. 24314/2020)

Dunque, oggi, in presenza di oggettive situazioni la società interessata può interpellare l’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera b), della legge n. 212/2000 tramite il c.d. interpello probatorio facoltativo e non obbligatorio, in luogo del precedente interpello disapplicativo, previsto dall’art. 37-bis, comma 8 del D.P.R. n. 600/1973, ormai abrogato.
Da ultimo, la Suprema Corte (ordinanza n. 4946/2021) ha rammentato che la disposizione sulle società non operative, prevede due presunzioni legali: di non operatività e di reddito minimo. Nel momento in cui, effettuato il test di operatività, il contribuente non fornisce la prova contraria, può trovare applicazione la seconda presunzione.
I giudici di legittimità escludono, poi, che l’eliminazione dell’espressa previsione della facoltà di prova contraria, nell’ambito del test di operatività, abbia mutato la natura della presunzione legale. In buona sostanza, le modifiche apportate dalla legge n. 296/2006 non hanno eliminato la possibilità per il contribuente, di vincere la presunzione legale della finalità elusiva delle società non operative della ricorrenza di una situazione oggettiva a sé non imputabile, cha abbia reso impossibile il conseguimento di ricavi e la produzione di reddito entro la soglia minima stabilita ex lege.
La Suprema Corte, infine, ha chiarito che non possa riconoscersi validità neppure all’assunto per cui il contribuente sarebbe ammesso alla prova contraria, solo a condizione del preventivo esperimento del rimedio precontenzioso dell’interpello disapplicativo.
L’interpello disapplicativo, infatti, non è una condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, né la modifica normativa ha comportato la soppressione della facoltà per il contribuente di superare la presunzione legale di non operatività

Bilancio 2020: rivalutazione beni e questioni aperte. Assonime.

Con la circolare n. 6 del 5 marzo 2021, Assonime offre un ampio commento alla disciplina in materia di rivalutazione dei beni d’impresa e riallineamento dei valori fiscali e contabili, contenuta nell’art. 110 del decreto Agosto (D.L. n. 104/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 126 del 2020).
L’interesse in sede interpretativa discende dal fatto che, pur essendo strutturata sulla base delle precedenti leggi di rivalutazione e riallineamento, la normativa introdotta in piena pandemia da Covid-19 presenta diversi profili innovativi, di particolare interesse per le imprese.

La rivalutazione dei beni d’impresa introdotta dal decreto Agosto può essere effettuata nel bilancio d’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 (quindi, per i soggetti “solari”, nel bilancio 2020).
I soggetti con esercizio a cavallo cadente nell’anno 2020 possono effettuare la rivalutazione in sede di approvazione del bilancio, quindi ad esempio un soggetto con esercizio in chiusura il 31.8.2020 potrà effettuare la rivalutazione dei beni su questo bilancio possedendo i beni al 31.8.2019.

I soggetti che possono usufruire della riapertura (con sostanziali novità) della rivalutazione dei beni d’impresa sono le società di capitali, gli enti commerciali e, più in generale, i soggetti titolari di un reddito d’impresa che non adottano, in sede di redazione del bilancio d’esercizio, i principi contabili internazionali IFRS.
La rivalutazione può avere ad oggetto i beni materiali, immateriali e le partecipazioni di controllo e di collegamento risultati dal bilancio d’esercizio in corso al 31 dicembre 2019 e ancora iscritte nel bilancio in corso nel 2020; restano esclusi gli immobili merce ed i beni merce.

Le novità della disciplina emergenziale
Le principali novità contenute nella normativa introdotta dal decreto Agosto rispetto alle precedenti leggi di rivalutazione, riepilogate nella circolare di Assonime n. 6/2021, sono le seguenti:
- la possibilità di effettuare una rivalutazione anche ai soli fini civilistici, senza dover assolvere alcuna imposta sostitutiva;
- la facoltà di operare la rivalutazione anche per singolo bene, senza dover procedere necessariamente per categorie omogenee;
- la previsione di un’aliquota unificata (3%) e notevolmente ridotta rispetto a quella prevista in passato;
- la decorrenza del riconoscimento dei maggiori valori affrancati a partire dall’esercizio successivo a quello della rivalutazione/riallineamento (effetto prima differito a partite dal terzo esercizio successivo);
- l’estensione dell’ambito oggettivo della disciplina del riallineamento anche all’avviamento e alle altre attività immateriali iscritte in bilancio.

Assonime precisa anche che – pur non essendo previsto uno specifico periodo di “sorveglianza” nell’art. 110 del decreto Agosto – si ritiene applicabile anche alla normativa in commento la disciplina del D.M. n. 86/2002 e, pertanto, gli effetti dell’opzione per la rivalutazione vengono meno (e quindi le plusvalenze/minusvalenze sono calcolate sulla base dei valori di bilancio preesistenti alla rivalutazione, ferma la possibilità di scomputare come credito l’imposta sostitutiva versata) in caso di cessione degli asset rivalutati prima dell’inizio del quarto esercizio successivo a quello con riferimento al quale il riallineamento è stato eseguito.

Alcune questioni controverse
Assonime coglie l’occasione di illustrare la disciplina per affrontare anche talune questioni controverse tra cui, in particolare, la possibilità di rivalutare i beni che, pur essendo giuridicamente esistenti, non siano stati evidenziati in passato tra le attività (ad esempio i beni immateriali rilevati attraverso la capitalizzazione delle spese di sviluppo, ovvero le spese di registrazione del marchio imputate a conto economico).
Tenuto conto del quadro non uniforme, Assonime auspica, in materia, un intervento dell’Amministrazione finanziaria che contribuisca a chiarire tale aspetto.
Tra gli altri profili di incertezza richiamati dalla circolare, si segnala la fattispecie dei beni in leasing; a tal riguardo, Assonime si domanda se possano rivalutarsi solo i beni che siano stati riscattati entro il termine dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2019 ovvero se sia sufficiente la presenza di un contratto di leasing in essere al 31 dicembre 2019 e che il riscatto del bene sia avvenuto nell’esercizio con riferimento al quale si effettua la rivalutazione.
In merito, la bozza del documento interpretativo OIC n. 7, elaborato e posto in consultazione dalla Fondazione OIC proprio con riferimento alla rivalutazione e al riallineamento, conferma la tesi già nota in materia, e cioè quella secondo cui è necessario che il bene in leasing sia stato già riscattato al termine dell’esercizio precedente rispetto a quello della rivalutazione.

Il documento interpretativo OIC n. 7, peraltro, non prende invece posizione con riferimento alla rivalutazione dei beni d’impresa in caso di affitto d’azienda. Sul punto, Assonime richiama i chiarimenti già forniti dalla circolare n. 14/E/2017, ritenendoli applicabili – in fattispecie omogenee – alla materia.

Assonime precisa che modalità e limiti della rivalutazione sono coerenti con le precedenti leggi in materia e che, per quanto attiene l’imposta sostitutiva, l’aliquota del 3% assorbe le imposte sui redditi e l’IRAP; gli effetti fiscali della rivalutazione, infine, verranno prodotti, in caso di esercizio coincidente con l’anno solare, a partire dal 2021.

In merito alla base imponibile da assumere ai fini del calcolo dell’imposta sostitutiva dovuta per affrancare la riserva, Assonime segnala la divergenza tra:
- l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, in base al quale la base imponibile dell’imposta sostitutiva da versare per rendere liberamente disponibile il saldo attivo da rivalutazione è costituita dall’importo della riserva stessa aumentato dell’imposta sostitutiva dovuta per la rivalutazione, e
- l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (a partire dal 2018 la Corte di Cassazione ha affermato che l’imposta sostitutiva andrebbe calcolata sull’importo della riserva risultante al bilancio, cioè al netto dell’imposta sostitutiva da rivalutazione).
Anche tale profilo dovrebbe essere chiarito dall’Amministrazione finanziaria.
Il riallineamento dei valori fiscali ai maggiori valori contabili dei beni iscritti in bilancio non determina (a differenza della rivalutazione) un incremento patrimoniale; gli eventuali benefici fiscali derivano dal rilascio a conto economico delle imposte differite passive corrispondenti ai maggiori valori contabili che – ante riallineamento – non erano riconosciuti fiscalmente, naturalmente successivamente al pagamento dell’imposta sostitutiva.
Rientrano tra i soggetti che possono fruire della disciplina del riallineamento anche le imprese che adottano i principi contabili internazionali IAS/IFRS.
Le tempistiche del riallineamento sono coerenti con quelle previste per la rivalutazione; sotto il profilo oggettivo la novità più rilevante (contenuta nel comma 8-bis dell’art. 110, inserito dalla legge di Bilancio 2021) è rappresentata dalla possibilità di rivalutare anche l’avviamento e le altre attività immateriali (non espressione di beni giuridicamente tutelati); Assonime peraltro precisa che – seppur collocata dopo il comma 8, che riguarda il riallineamento delle imprese IAS adopter – per la sua genericità si estende a tutte le imprese, anche quelle che adottano i principi contabili nazionali.
L’opzione per il riallineamento va effettuata necessariamente per l’intero differenziale tra valore contabile e fiscale; a differenza della rivalutazione il riallineamento non può operare, quindi, in modo parziale.
Infine, anche nell’ipotesi di riallineamento è richiesta l’apposizione di un vincolo su una riserva (in sospensione d’imposta) di importo corrispondente ai differenziali riallineati (al netto della relativa imposta sostitutiva).

Il bonus affitti per l’ente non commerciale senza partita iva

Con la risposta a interpello n. 160 dell’8 marzo 2021 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di bonus affitti.
Il Decreto Rilancio all’art. 28 ha previsto che al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione, con ricavi o compensi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto, spetta un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare mensile in relazione ai canoni di locazione.
Ai soggetti locatari esercenti attività economica, il credito d’imposta spetta a condizione che abbiano subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi nel mese di riferimento di almeno il cinquanta per cento rispetto allo stesso mese del periodo d’imposta precedente.
Possono fruire del credito di imposta gli enti non commerciali, compresi gli enti del terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti relativamente al costo sostenuto per il canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale.
In considerazione del combinato disposto dei commi 1 e 4 i predetti soggetti possono fruire del menzionato credito d’imposta, anche nelle ipotesi in cui l’ente svolga, oltre all’attività istituzionale, anche un’attività commerciale, in modo non prevalente o esclusivo.
Al riguardo, si ritiene che il legislatore abbia inteso estendere il beneficio in questione a tutti gli enti diversi da quelli che esercitano, in via prevalente o esclusiva, un’attività in regime di impresa in base ai criteri stabiliti dall’articolo 55 del TUIR.
In tal caso, qualora tale ultima attività risulti di ammontare superiore al limite di 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente, l’ente non potrà fruire del credito d’imposta.
Come precisato nella risoluzione n. 68/E del 2020, ai fini della determinazione del parametro dei ricavi non superiore a 5 milioni di euro, per gli enti non commerciali, devono essere considerati i soli ricavi con rilevanza ai fini IRES.
Sono, pertanto, esclusi i ricavi derivanti da attività aventi i requisiti di cui al comma 3, 5, 6 e 7, dell’articolo 148 del TUIR, svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali.
In relazione alla verifica dei flussi reddituali, come chiarito nella citata circolare 14/E del 2020, per gli enti non commerciali che svolgono attività commerciale non prevalente la soglia dei ricavi o compensi va determinata per ciascuna tipologia di soggetto tenendo conto delle proprie regole di determinazione del reddito. Per gli enti non commerciali che svolgono solo, occasionalmente, attività commerciale e che, pertanto, non dispongono di partita IVA, il credito d’imposta va determinato sull’importo dell’affitto al lordo dell’IVA, in quanto in tale particolare ipotesi l’imposta rappresenta per l’ente non commerciale un costo che incrementa il canone di affitto dovuto.