La costituzione di usufrutto determina la perdita della agevolazioni prima casa.

In caso di costituzione del diritto di usufrutto sull’immobile agevolato prima del decorso dei cinque anni dall’acquisto, si determina la decadenza dall’agevolazione prima casa proporzionalmente al valore del diritto parziario ceduto. Conseguentemente, ai fini fiscali, sul valore del diritto alienato va recuperata la differenza tra la tassazione agevolata e la tassazione ordinaria, oltre alla sanzione e agli interessi.
Lo ha evidenziato l’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 441 del 30 agosto 2022, con cui ha chiarito anche la base imponibile per il recupero delle imposte dovute nella misura ordinaria.
Con la risposta a interpello n. 441 del 30 agosto 2022 l’Agenzia delle Entrate ha reso chiarimenti in tema di agevolazioni prima casa e decadenza parziale dalle agevolazioni a seguito di costituzione del diritto di usufrutto sull’immobile agevolato prima del decorso dei cinque anni dall’acquisto.
L’agevolazione per l’acquisto della prima casa è disciplinata dalla Nota II-bis, posta in calce all’articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986. Tale articolo prevede l’applicazione dell’imposta di registro nella misura del 2% per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A/1, A/8 e A/9, e gli atti traslativi o costitutivi dei diritti di nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione relativi alle stesse, ove ricorrano le condizioni previste dalla citata Nota II-bis.
In relazione alla decadenza parziale dall’agevolazione prima casa fruita per l’acquisto dell’abitazione, nel caso di costituzione, in favore del coniuge, del diritto di usufrutto a tempo determinato (per la durata di cinque anni) sull’immobile agevolato, si osserva che il comma 4 della sopra citata Nota II-bis prevede che in caso di dichiarazione mendace o di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte.
Sono dovuti gli interessi di mora. Le disposizioni non si applicano nel caso in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con i benefici di cui al presente articolo, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.
Pertanto, si incorre nella decadenza dall’agevolazione fruita in caso di trasferimento degli immobili acquistati con i benefici in esame entro i cinque anni dall’acquisto, se non si procede a un nuovo acquisto entro un anno dall’alienazione dell’immobile agevolato. Il legislatore ha inteso, infatti, agevolare l’acquisto della ” prima casa”, finalità che viene meno con l’alienazione anticipata dell’abitazione o dei diritti reali acquistati sul medesimo.
In relazione alla possibile decadenza parziale dall’agevolazione, con la risoluzione 16 febbraio 2006, n. 31/E è stato chiarito che: così come il regime di favore trova applicazione anche con riferimento all’acquisto di una quota di abitazione, allo stesso modo deve ritenersi che la vendita di una quota o di una parte di essa (prima dei cinque anni), determini la decadenza per la quota o porzione di immobile ceduta. In tal senso, il richiamo contenuto nella menzionata norma al “trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati” deve intendersi riferito anche alle quote o porzioni di immobili (nello stesso senso v. ordinanza Corte Cassazione n. 24658 dell’8 ottobre 2018).
Con la risoluzione 8 agosto 2007, n. 213/E, inoltre, in relazione alla richiamata normativa, è stato chiarito che la cessione del diritto di nuda proprietà, entro i cinque anni dall’acquisto agevolato, comporta la decadenza dai benefici in questione in quanto l’operazione viene posta in essere prima del decorso del quinquennio dalla data di acquisto. In tale ipotesi, la perdita del beneficio riguarda la parte di prezzo corrispondente al diritto parziario ceduto.
In particolare, si applicano al prezzo dichiarato nell’atto di acquisto i coefficienti per la determinazione dei diritti di usufrutto, di cui al prospetto dei coefficienti allegato al TUR, con riferimento alla data in cui il diritto è stato acquisito. Pertanto, la perdita del beneficio è rapportata al valore del diritto parziario ceduto. Analogamente, si incorre nella decadenza parziale dall’agevolazione fruita in sede di acquisto della piena proprietà dell’abitazione, anche nel caso di costituzione di diritti reali, quali l’usufrutto, l’uso o l’abitazione, in quanto cessione parziale del suddetto più ampio diritto.
La costituzione del diritto di usufrutto sull’immobile agevolato comporta, infatti, una compressione del diritto di piena proprietà acquistato con le agevolazioni.
Si osserva che l’agevolazione è applicabile non solo per gli atti di acquisto del diritto di piena proprietà, ma anche per gli atti di costituzione o trasferimento di diritti parziari sull’immobile (quali i diritti di nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione). La cessione infra quinquennale a terzi di tali diritti determina la decadenza dall’agevolazione. Parimenti, nel caso di acquisto del diritto di proprietà pieno e di successiva (entro cinque anni dall’acquisto) cessione del diritto di parziario di nuda proprietà, usufrutto, uso o abitazione, si determina la decadenza dall’agevolazione fruita, limitatamente alla parte di prezzo corrispondente al diritto parziario ceduto.
Tale conclusione appare valida anche nell’ipotesi in cui, prima dei cinque anni dall’acquisto dell’immobile agevolato, venga costituito a favore di un terzo un diritto di usufrutto a tempo “determinato”.
La decadenza dall’agevolazione opera proporzionalmente al valore del diritto parziario ceduto. Conseguentemente, ai fini fiscali, sul valore del diritto alienato va recuperata la differenza tra la tassazione agevolata e la tassazione ordinaria, oltre alla sanzione e agli interessi, ai sensi dell’art. 1, comma 4 della Nota II-bis Parte prima, del TUR.

Controlli fiscali, al contribuente il diritto di conoscere anche l’esito negativo.

Un emendamento apportato in sede di conversione in legge al decreto Semplificazioni introduce un ulteriore aspetto di trasparenza nel rapporto Erario e contribuente.
In particolare, la nuova disposizione (articolo 6-bis della legge 122/2022, di conversione del citato Decreto 73/2022) prevede che al termine della fase istruttoria, in seguito ad un controllo fiscale, il contribuente debba essere avvisato del termine della stessa.
Nella sostanza, viene introdotto l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di comunicare la conclusione di attività istruttorie di controllo a carico di quel contribuente che è stato informato dell’inizio delle stesse; l’Agenzia delle Entrate dovrà comunicare entro sessanta giorni dal termine dell’attività di verifica la fine dell’azione di controllo.
Saranno ammesse forme di comunicazione smart, come per esempio via Sms, email o anche con l’AppIO.
Si resta in attesa, ora, di un provvedimento dell’Agenzia per le disposizioni attuative della norma.
La modifica normativa approvata in sede di conversione del DL Semplificazioni fiscali modifica e integra l’articolo 6 della legge n. 212/2000 (Statuto dei contribuenti) rubricato “conoscenza degli atti e semplificazione” con la introduzione di un nuovo comma 5-bis.
Fino ad oggi, come noto, il contribuente veniva avvertito di quando i controlli iniziavano, ma spesso non si conosceva il momento in cui l’Agenzia terminava le verifiche qualora queste non portavano a rettifiche in capo al contribuente, con la determinazione di una situazione di incertezza decisamente fastidiosa. E’ caso ad esempio dei controlli formali delle dichiarazioni fiscali, degli inviti al contraddittorio e dei questionari, ma anche di attività istruttorie esterne come le indagini finanziarie. Diversamente in caso di verifica fiscale questa andava necessariamente conclusa con un verbale, anche di esito negativo.
In risposta alle richieste, da parte dell’Agenzia veniva opposto che una eventuale archiviazione del procedimento era un atto interno che non doveva essere reso esternamente all’Ufficio competente.
L’ipotesi più frequente fra quelle interessate dovrebbe essere rappresentata dal controllo formale ex art. 36-ter del DPR n. 600/1973 che come regola precede la mera richiesta di documentazione da parte del contribuente (scontrini, fatture, crediti d’imposta, ritenute, oneri detraibili o deducibili) e anche tutte le ipotesi di invio di questionari e richieste documentali mirate.
Di questa attività il contribuente non conosceva né l’esito né l’eventuale momento di archiviazione della sua posizione.
Con la modifica in commento, a seguito del controllo della documentazione prodotta dal contribuente l’Amministrazione, valutata la regolarità della posizione del contribuente, sarà tenuta a comunicare al contribuente l’archiviazione del controllo.
Questa nuova comunicazione non sarà invece applicabile alle procedure di liquidazione automatizzata di cui agli artt. 36-bis del DPR n. 600/1973 e 54-bis del DPR n. 633/1972 il cui esito sarà monitorato nel cassetto fiscale del singolo contribuente.

Condono per le liti pendenti in Cassazione.

Il 9 agosto 2022 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge recante disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari.
La nuova normativa persegue gli obiettivi di ridurre i giudizi pendenti in sede di legittimità e di accelerarne la trattazione.
Durante l’esame in sede redigente da parte delle Commissioni riunite Giustizia e Finanze viene riproposta, nell’art. 5, una mini definizione agevolata dei giudizi tributari pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione.
Vediamo allora quali liti pendenti in Cassazione possono essere definite.
Sono escluse le controversie concernenti anche solo in parte:
a) le risorse proprie tradizionali previste dall’art. 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni n. 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e n. 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014 (abrogata dall’articolo 10 della decisione n. 2014/335/UE/Euratom, a sua volta abrogata dall’art. 11, par. 1, della decisione 14 dicembre 2020, n. 2020/2053/Euratom, che disciplina attualmente il sistema delle risorse proprie dell’Unione europea), e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione;
b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’art. 16 del regolamento (UE) n. 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015.

Possono invece essere definite con il pagamento di un importo pari al 5% del valore le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione:
- per le quali l’Agenzia delle Entrate risulti integralmente soccombente in tutti e due i precedenti gradi di giudizio;
- il cui valore sia non superiore a 100.000 euro.
Possono essere altresì definite con il pagamento di un importo pari al 20% del valore le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione:
- per le quali l’Agenzia delle Entrate risulti soccombente in tutto o in parte in uno dei gradi di merito;
- il cui valore non sia superiore a 50.000 euro.
Il valore della lite viene determinato ai sensi dell’art. 16, comma 3, legge n. 289/2002, vale a dire come l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo, anche se irrogate con separato provvedimento; in caso di liti relative alla irrogazione di sanzioni non collegate al tributo, delle stesse si tiene conto ai fini del valore della lite.
Il valore della lite è determinato con riferimento a ciascun atto introduttivo del giudizio, indipendentemente dal numero di soggetti interessati e dai tributi in esso indicati.

Quale è il procedimento per la definizione agevolata delle liti.
La definizione opera a domanda dei soggetti che hanno proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione e comporta la contestuale rinuncia ad ogni eventuale pretesa di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2001.
In ogni caso le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.
Le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere della definizione de qua; in tal caso il processo è sospeso fino alla scadenza del termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge che introduce e disciplina la definizione delle liti pendenti in Cassazione.
Le controversie in commento sono definite con decreto assunto ai sensi dell’art. 391 c.p.c., vale a dire con il decreto di estinzione del processo che interviene nella ipotesi in cui non sia stata fissata la data della decisione.
Entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge che introduce e disciplina la definizione delle liti pendenti in Cassazione per ciascuna controversia autonoma è presentata una distinta domanda di definizione esente dall’imposta di bollo ed è effettuato un distinto versamento. Per controversia autonoma si intende quella relativa a ciascun atto impugnato.

Ai fini del pagamento si tiene conto di eventuali versamenti già effettuati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio, fermo restando il rispetto delle percentuali stabilite ai fini della definizione. Non si dà comunque luogo alla restituzione delle somme già versate ancorché eccedenti rispetto a quanto dovuto per la definizione stessa.
La definizione si perfeziona con la tempestiva presentazione della domanda da parte dei soggetti legittimati e con il pagamento degli importi dovuti; qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda.
Gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato anteriormente alla data di entrata in vigore della legge che la regola.
La definizione perfezionata dal coobbligato giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia più pendente.
L’eventuale diniego della definizione va notificato entro 30 giorni con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali ed è impugnabile entro 60 giorni dinanzi alla Corte di Cassazione.
In mancanza di istanza di trattazione presentata dalla parte interessata, entro 2 mesi decorrenti dalla scadenza di tale termine, il processo è dichiarato estinto, con decreto del presidente. L’impugnazione del diniego vale anche come istanza di trattazione.

Si segnala che i commi 1 e 2 dell’art. 5 menzionano come definibili le controversie pendenti in Cassazione alla data del 15 luglio 2022, mentre il comma 4 del medesimo articolo definisce come “controversie tributarie pendenti” quelle per le quali il ricorso per cassazione è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore della legge che introduce questa tipologia di condono, purché, alla data della presentazione della domanda, non sia intervenuta una sentenza definitiva.
Sul punto sarà probabilmente necessario un intervento normativo chiarificatore.