Verifiche fiscali, per la Cassazione la acquisizione irrituale di documenti non inficia il controllo.

L’eventuale irrituale acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta la loro inutilizzabilità.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20385, depositata il 28 settembre 2020.
Secondo i giudici di legittimità,nell’ordinamento tributario non vi è alcuna norma che preveda tale conseguenza, a differenza di quanto avviene nel procedimento penale, il quale però resta distinto e separato da quello tributario.
Il fatto. Ad una società veniva notificato un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’IVA contenente contestazione di fatture inesistenti. L’atto impositivo derivava da una verifica eseguita dalla Guardia di Finanza, nel corso della quale emergevano anche elementi di rilevanza penale, che portavano quindi alla contestazione della violazione degli articoli 2 e 8, D.Lgs. n. 74/2000.
La contribuente, si deduce dalla Sentenza, ricorreva eccependo la violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p., ritenendo in sostanza che l’indagine eseguita dalla Guardia di Finanza aveva di fatto avuto natura penale, con la conseguenza che dovevano essere rispettate le garanzie della norma suindicata: in difetto non potevano considerarsi ammissibili gli elementi raccolti dai militari, con efficacia anche da un punto di vista tributario, con conseguente assenza di prova della pretesa erariale.
La tesi era ritenuta infondata sia in primo che in secondo grado. La CTR, in particolare, evidenziava l’autonomia tra il processo penale e quello tributario, con impossibilità di far derivare l’inutilizzabilità delle prove anche in assenza del rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il giudizio penale.

Con l’ordinanza n. 20358, depositata il 28 settembre 2020, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della contribuente.
Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, i processi penale e tributario sono tra loro distinti (cd principio del doppio binario) e l’obbligo del rispetto delle disposizioni del c.p.p. sorge si quando nel corso delle attività ispettive emergano indizi di reato, ma solamente ai fini dell’applicazione della legge penale. Tanto più che nell’ordinamento tributario non si rinviene alcuna norma corrispondente a quella prevista dal c.p.c. (art. 191) per la quale le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate.
Le indagini della Guardia di Finanza espletate ai fini tributari, in sintesi, hanno natura amministrativa e vanno considerate distintamente da quelle in cui i militari operano in veste di polizia giudiziaria e dirette all’accertamento di reati, per le quali vanno rispettate le prescrizioni del c.p.p..
Solo in sede penale, dunque, può rilevare la possibile inosservanza di dette prescrizioni, mentre l’Agenzia delle Entrate e il giudice tributario ben possono avvalersene ai fini fiscali, senza che ciò costituisca violazione del diritto di difesa.
Da ultimo la Suprema Corte ha precisato come in casi come quello di specie non risulti violato nemmeno il principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, citato dalla contribuente nel proprio ricorso ma in maniera del tutto inconferente.

L’IVA teorica, e non solo, nel conteggio della soglia 10% per le ritenute negli appalti.

Nell’ambito della disciplina delle ritenute negli appalti, per il calcolo della soglia del 10% dell’ammontare dei ricavi o compensi, tra i versamenti è ricompresa anche l’IVA assolta dal committente in regime di reverse charge e l’IVA relativa alle operazioni rese dalle imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici alla PA, obbligata allo split payment. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 53/E del 22 settembre 2020, con cui ha ricordato che in tutte e due le ipotesi, per contrastare comportamenti fraudolenti, l’obbligo di versare l’IVA è trasferito dall’impresa appaltatrice, affidataria o subappaltatrice al committente, pubblico o privato.
Questo l’importante ed atteso chiarimento, ma andiamo con ordine.
Con la risoluzione n. 53 del 22 settembre 2020, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di “soglia del 10 per cento”; in particolare è stata illustrata la modalità di conteggio e determinazione dei complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi, richiesto dalla normativa specifica in tema di appalti.
L’articolo 17-bis, c. 5, del D. Lgs. n. 241 del 1997 stabilisce, che gli obblighi previsti dalla norma (quindi la complessa procedura attraverso cui il committente deve verificare il corretto versamento delle ritenute nei modelli F24 da parte del prestatore per ogni singolo soggetto impiegato presso i propri cantieri, le proprie sedi ed uffici che tanti problemi operativi ha creato all’inizio dell’anno 2020) non trovano applicazione qualora le imprese appaltatrici o affidatarie o subappaltatrici comunichino al committente, allegando la relativa certificazione, la sussistenza, nell’ultimo giorno del mese precedente a quello della scadenza i seguenti requisiti:
-risultino in attività da almeno tre anni,
-siano in regola con gli obblighi dichiarativi
-abbiano eseguito, nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio, complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime;
-non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori ad euro 50.000, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione.
Il calcolo della soglia del 10 per cento è stato uno degli argomenti dibattuti specialmente per certi ambiti di attività, come quello degli appalti in cui opera il reverse charge (ad esempio nell’edilizia) e per tutti i settori in cui ci si rivolge a clienti che sono lo Stato, Enti Pubblici e soggetti assimilati per cui la fatturazione e il versamento dell’Iva avviene con il meccanismo dello split payment, in cui come noto il versamento dell’Imposta è affidato al committente.
Tali imprese si vedevano “spossessate” dal versamento dell’IVA con indubbio effetto negativo sulla possibilità di ottenere il cosiddetto DURF fiscale, peraltro agendo in settori di attività maggiormente interessati e colpiti dalla normativa antielusiva in commento.
Già il 4 marzo 2020, in risposta ad una interrogazione parlamentare, il Ministro dell’Economia aveva precisato che -in particolare per lo Split- andavano considerati i versamenti “teorici” dell’Iva sebbene questa fosse materialmente versata dal Committente; interpretazione a breve ripresa anche dalla Direzione Regionale Emilia Romagna.
Si attendeva pertanto un chiarimento ufficiale, data anche la fine della moratoria Covid in tale ambito.
L’Agenzia chiarisce dunque che ai fini del calcolo della soglia del 10 per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi, tra i versamenti, deve essere considerata anche l’IVA relativa alle operazioni rese dalle imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici alla PA e ai soggetti ad essa equiparati, obbligati allo split payment. L’articolo 17-ter del d.P.R. n. 633 del 1972 individua comunque il cedente o il prestatore quale soggetto su cui ricade il debito di imposta nei confronti dell’Erario, in relazione alle operazioni rese nei confronti di una PA o di un soggetto ad essa assimilato ivi indicato. Solo in un’ottica di contrasto ai comportamenti fraudolenti, viene spostato sull’ente pubblico e sui soggetti assimilati l’obbligo di versare l’IVA. Pertanto, ai fini del calcolo della “soglia del 10 per cento” si computeranno tra i versamenti delle imprese appaltatrici, affidatarie o subappaltatrici le somme costituenti l’IVA relativa alle operazioni soggette allo split payment.
A uguali conclusioni, afferma l’agenzia -ma per ragioni in parte diverse (anche se peraltro le diverse ragioni non si ravvisano)- si perviene con riferimento alle operazioni soggette al regime dell’inversione contabile. Ciò comporta infatti che gli obblighi relativi all’applicazione dell’IVA debbano essere adempiuti dal soggetto passivo cessionario o committente, in luogo del cedente o del prestatore ed è adottato dagli Stati Membri in deroga alla procedura normale di applicazione dell’Iva al fine di contrastare le frodi in particolari settori a rischio, evitando che il cessionario porti in detrazione l’imposta che il cedente non provvede a versare all’erario. Al pari dello split payment, è sempre per finalità antifrode che il versamento dell’imposta oltre che, in questo caso, l’applicazione dell’imposta sono spostati dall’impresa appaltatrice, affidataria o subappaltatrice al committente. Di conseguenza, anche l’IVA assolta dal committente in regime di inversione contabile si ritiene che possa essere ricompresa nei versamenti per il calcolo della soglia del 10 per cento.
Per analoghe ragioni il conteggio dei versamenti sul conto fiscale in ottica 10% non può essere limitato alle due fattispecie sopramenzionate.
Nella Risoluzione è stato chiarito che tra i versamenti si considera anche l’“imposta teorica” corrispondente al reddito della società, imputato per trasparenza ai soci, che provvedono al pagamento dell’imposta, nell’ipotesi di esercizio dell’opzione per la trasparenza fiscale, e l’ “imposta sul valore aggiunto teorica” risultante dalla liquidazione periodica della società controllata, ma assolta dall’ente controllante, nel caso di opzione per la liquidazione Iva di gruppo.
Per i soggetti aderenti al consolidato fiscale, è stato chiarito che ai fini della determinazione dei complessivi versamenti del numeratore, può essere fatta valere anche l’«imposta teorica» corrispondente al reddito complessivo proprio di cui all’articolo 121 del TUIR attribuito al consolidato fiscale delle imposte.
Al pari del regime del consolidato fiscale di cui agli articoli 117 e seguenti del TUIR, anche i regimi della trasparenza fiscale e della liquidazione Iva di gruppo, si caratterizzano per il fatto che il debito tributario matura, in via autonoma, in capo a ciascuna delle società aderenti, che provvedono alla liquidazione della relativa imposta, mentre il solo assolvimento del debito tributario viene eseguito da un altro soggetto, legato al primo da rapporti di partecipazione/controllo.
La Risoluzione però non chiarisce del tutto le modalità operative rispetto alle indicazioni teoriche che vengono fornite. Vi sono diversi e molteplici casi in cui l’applicazione pratica si complica rispetto alla logica con cui la chiarificazione è fornita. Cosa accade ade esempio per una impresa con una posizione Iva a credito periodica di 30, che opera con la PA ed emette una fattura di 100 con Iva (in split) di 22, che l’Ente Pubblico riversa direttamente nelle casse erariali. Il dato letterale della Risoluzione parrebbe indurre a pensare che i 22 versati in adempimento dello Split siano da considerare immediatamente nel “conteggio triennale del 10%”, ma è pur vero che l’impresa, operando in regime ordinario non avrebbe versato l’IVA sul conto fiscale, ma avrebbe ridotto la posizione creditoria da 30 ad 8.

Divieto di compensazione in F24 per debiti scaduti inapplicabile all’IMU.

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la risposta a interpello n. 385 del 22 settembre 2020 in tema di inapplicabilità del divieto di compensazione, in presenza di debiti a ruolo scaduti relativi all’IMU.
L’articolo 31 del D.L. n. 78 del 2010, prevede che a decorrere dall’ 1 gennaio 2011, la compensazione dei crediti, relativi alle imposte erariali, è vietata fino a concorrenza dell’importo dei debiti, di ammontare superiore a millecinquecento euro, iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori, e per i quali è scaduto il termine di pagamento.
Sul punto è stato chiarito che i tributi ricompresi nella locuzione “imposte erariali”, sono, a titolo esemplificativo, le imposte dirette tra cui anche l’IRAP, le addizionali ai tributi diretti, le ritenute alla fonte, l’imposta sul valore aggiunto e le altre imposte indirette, con esclusione dei tributi locali e dei contributi di qualsiasi natura.
L’IMU è stata introdotta dagli articoli 8 e 9 del D. Lgs. n. 23 del 2011 e la sua applicazione in via sperimentale a partire dal 2012 è stata prevista dall’articolo 13 del DL n. 201 del 2011. L’IMU è certamente un tributo locale e non erariale, ma il dubbio nasceva dal fatto che una parte del gettito IMU -sebbene versato ai Comuni- è riservato allo Stato cui gli Enti locali riversano la quota di spettanza.
La risposta contenuta nell’interpello chiarisce che la normativa che riserva il gettito dell’IMU a favore dello Stato non incide sulla natura del tributo, che rimane comunale, come del già affermato nella Risoluzione n. 2/DF del 2012.
La circostanza è chiarita dal fatto che le procedure di accertamento, del contenzioso, della riscossione e dei rimborsi IMU sono affidati ai Comuni.
Il Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze nel fornire chiarimenti in tema di procedure di riversamento, rimborso e regolazioni contabili relative ai tributi locali ha peraltro precisato che l’esigenza di presentare l’istanza di rimborso al comune è dettata dalla circostanza che, anche nell’ipotesi di errato versamento nei confronti dello Stato, l’ente locale è l’unico soggetto legittimato alla verifica dell’esatto assolvimento dell’obbligo tributario da parte dei soggetti passivi.
Esclusa, dunque, la natura erariale dell’IMU ne consegue l’inapplicabilità del divieto di compensazione previsto dall’articolo 31 del DL n. 78 del 2010.

Soggetti “Isa” proroga versamenti al 30 ottobre 2020, ma con lo 0.8% in più.

I gruppi parlamentari di maggioranza hanno presentato al Senato un emendamento al decreto Agosto (decreto legge 10472020 in fase di conversione alle Camere), che prevede, per i contribuenti che hanno registrato nel primo semestre del 2020 una riduzione del fatturato di almeno il 33% rispetto allo stesso periodo del 2019, la possibilità di effettuare il pagamento entro venerdì 30 ottobre con la “sola” maggiorazione dello 0,8%.
La moratoria al momento riguarda i soli contribuenti interessati dall’applicazione degli ISA (Indici sintetici di affidabilità fiscale), compresi quelli aderenti al regime forfetario, di vantaggio e ai soci di società ISA in regime di trasparenza.
Sono interessati i versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi 2019 (quindi principalmente saldi Irpef e Ires) e l’IVA correlata agli ulteriori componenti positivi dichiarati per migliorare il profilo di affidabilità, oltre agli acconti di imposta 2020. Tutti i suddetti versamenti in origine scadevano al 20 agosto 2020 (già con la maggiorazione dello 0.4%).
Vi rientrano, inoltre, anche i versamenti delle imposte sostitutive (quali, ad esempio, Ivie e Ivafe o cedolare secca sulle locazioni) a condizione che si tratti di soggetti che hanno i requisiti per fruire della proroga stessa.
La moratoria di applica anche ai versamenti dell’IRAP nelle (rare) occasioni in non sussistano le condizioni per l’applicazione dell’art. 24 del D.L. n. 34/2020, norma che prevede l’abbuono dei versamenti del saldo 2019 e del primo acconto 2020 per i soggetti con ricavi o compensi non superiori a 250 milioni di euro nel periodo d’imposta 2019.
La proroga in commento (si ricorda che il decreto produce al momento effetti ma deve essere convertito in legge entro il 13 settembre 2020) comporta comunque un costo non indifferente tenuto conto che la maggiorazione di un ulteriore 0.4% dal 20 agosto 2020 al 30 ottobre 2020 corrisponde ad un tasso di interesse annuo di circa il 2.4%.
Si rammenta infine che per diretta presa di posizione dell’amministrazione finanziaria, confortata dalla giurisprudenza migliore, detta maggiorazione non assume la veste di sanzione, ma di interesse corrispettivo, tale che in caso di versamento tardivo delle imposte prive della integrazione dello 0,8% (o dello 0.4% al 20 agosto) non comporterebbe un tardivo versamento sanzionabile, ma solo la richiesta di integrazione del dovuto da parte delle agenzie fiscali.

Imposte agevolata per l’acquisto da parte di imprese di costruzione anche con più atti.

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la risposta a interpello n. 384 del 18 settembre 2020 in tema di applicazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro 200 ciascuna per i trasferimenti di interi fabbricati, a favore di imprese di costruzione o di ristrutturazione immobiliare.
Il decreto crescita, DL n. 34 del 2019, ha previsto all’art. 7 che le imposte di registro, ipotecaria e catastale siano dovute nella misura fissa di euro 200 ciascuna ove ricorrano le seguenti condizioni:
-l’acquisto deve essere effettuato entro il 31 dicembre 2021 da imprese che svolgono attività di costruzione o ristrutturazione di edifici;
-l’acquisto deve avere come oggetto un “intero fabbricato” indipendentemente dalla natura dello stesso.
Il soggetto che acquista l’intero fabbricato, inoltre, entro 10 anni dalla data di acquisto deve provvedere:
-alla demolizione e ricostruzione di un nuovo fabbricato anche con variazione volumetrica, ove consentito dalle normative urbanistiche ovvero,
-ad eseguire interventi di manutenzione straordinaria, interventi di restauro e risanamento conservativo o interventi di ristrutturazione edilizia. In entrambi i casi (ricostruzione o ristrutturazione edilizia) il nuovo fabbricato deve risultare conforme alla normativa antisismica e deve conseguire una delle classi energetiche “NZEB” (“Near Zero Energy Building”), “A” o “B”;
-all’alienazione delle unità immobiliari il cui volume complessivo superi il 75 per cento del volume dell’intero fabbricato.
Se non sono rispettate queste condizioni, in base alle quali è stata concessa l’agevolazione in sede di acquisto del fabbricato, le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono dovute nella misura ordinaria con l’applicazione della sanzione del 30 per cento delle stesse imposte.
La norma agevolativa non prescrive per l’acquisto dell’intero fabbricato la redazione di un unico atto, né impone, quando il fabbricato è composto da più unità immobiliari, la redazione dell’atto di compravendita delle unità che compongono l’intero fabbricato in un unico contesto.
Inoltre occorre affiancare ulteriori riflessioni basate sulla ratio della disposizione, diretta ad agevolare l’impresa di costruzione o ristrutturazione che “trasforma” un intero fabbricato allo scopo di renderlo più “sicuro” rispetto agli eventi sismici e più “ecologico” migliorandone le caratteristiche di efficienza energetica.
La norma risponde alla necessità di incentivare la permuta tra vecchi edifici e immobili con caratteristiche energetiche e sismiche completamente rinnovate, quale strumento indispensabile per avviare un reale processo di rigenerazione urbana.
Incentivare fiscalmente queste operazioni potrebbe, infatti, innescare un circolo virtuoso di scambi immobiliari diretti a prodotti sempre più innovativi e performanti.
Tale obiettivo può essere perseguito indipendentemente dalla circostanza che l’impresa acquista l’intero fabbricato mediante la redazione di diversi contratti di compravendita stipulati in tempi diversi.

Bonus sanificazione al 9,38%.

Con provvedimento dell’11 settembre del direttore dell’Agenzia delle entrate è stata stabilita l’esatta misura del bonus sanificazione.
Il credito di imposta originariamente del 60% -come ampiamente prevedibile data la ridotta misura dei fondi a disposizione- è stato ridotto al 15.64% di quanto richiesto, ovvero nella misura del 9,38% della spesa sostenuta.
Quindi per una spesa sanificazione di 10.000 euro per la quale si era fatta istanza per ottenere 6.000 euro, sarà utilizzabile in compensazione un credito di 938 euro.
E’ sempre opportuno verificare sul cassetto fiscale di ciascun contribuente la spettanza e la misura del credito.
Il credito di imposta dovrebbe essere utilizzabile in compensazione a partire dal 14 settembre ma ancora si è in attesa del provvedimento di attuazione e del relativo codice tributo.
Si rammenta che il bonus è cedibile.

Sisma bonus e asseverazione tardiva. Ok ai forfetari.

Con la risposta a interpello n. 281 del 27 agosto 2020 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sulla detrazione spettante agli acquirenti delle unità immobiliari vendute da imprese di costruzione e ristrutturazione immobiliare che abbiano realizzato interventi relativi all’adozione di misure antisismiche.
Il D.L. n. 63/2013 (art. 16, comma 1-septies) prevede che qualora gli interventi di cui al comma 1-quater del medesimo articolo 16 siano realizzati nei comuni ricadenti nelle zone classificate a rischio sismico 1, 2 e 3 mediante demolizione e ricostruzione di interi edifici, allo scopo di ridurne il rischio sismico, anche con variazione volumetrica rispetto all’edificio preesistente, ove le norme urbanistiche vigenti consentano tale aumento, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare che provvedano, entro diciotto mesi dalla data di conclusione dei lavori, alla successiva alienazione dell’immobile, le detrazioni dall’imposta spettano all’acquirente delle unità immobiliari, rispettivamente nella misura del 75% e dell’85% del prezzo della singola unità immobiliare, risultante nell’atto pubblico di compravendita e comunque, entro un ammontare massimo di spesa pari a 96.000 euro per ciascuna unità immobiliare.
La norma in commento è inserita nel contesto delle disposizioni che disciplinano il sismabonus, mutuandone le regole applicative, ma si differenzia da quest’ultimo in quanto beneficiari dell’agevolazione fiscale sono gli acquirenti delle nuove unità immobiliari. La ricostruzione dell’edificio, peraltro, può determinare anche un aumento volumetrico rispetto a quello preesistente, sempre che le norme urbanistiche in vigore permettano tale variazione, non rilevando, ad esempio, la circostanza che il fabbricato ricostruito contenga un numero maggiore di unità immobiliari rispetto al preesistente.
Gli interventi, inoltre, devono essere eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare che provvedano, entro 18 mesi dalla data di conclusione dei lavori, alla successiva alienazione dell’immobile.
Con riferimento alla redazione e alla presentazione dell’asseverazione, prevista dall’art. 3, comma 2, D.M. 28 febbraio 2017, n. 58, si osserva che, con tale decreto, emanato in attuazione dell’art. 16, comma 1-quater del D.L. n. 63/2013, sono state stabilite le linee guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni nonché le modalità per l’attestazione, da parte dei professionisti abilitati, dell’efficacia degli interventi effettuati.
In particolare, l’efficacia degli interventi finalizzati alla riduzione del rischio sismico (classe di rischio dell’edificio precedente l’intervento e quella conseguibile a seguito dell’esecuzione dell’intervento progettato) è asseverata dai professionisti incaricati della progettazione strutturale, direzione dei lavori delle strutture e collaudo statico, secondo le rispettive competenze professionali, e iscritti ai relativi Ordini o Collegi professionali di appartenenza, in base ai contenuti delle linee guida allegate al decreto medesimo.
Il progetto degli interventi, contenente l’asseverazione, è allegato alla segnalazione certificata di inizio attività o alla richiesta di permesso di costruire da presentare allo sportello unico competente, tempestivamente e comunque prima dell’inizio dei lavori.
L’asseverazione e le attestazioni della conformità degli interventi eseguiti al progetto depositato, come asseverato dal progettista sono depositate presso lo sportello unico e consegnate in copia al committente, per l’ottenimento dei benefici fiscali.
In virtù di tale ultima disposizione, nella circolare 8 luglio 2020, n. 19/E è stato, da ultimo, ribadito che un’asseverazione tardiva, in quanto non conforme alle disposizioni, non consente l’accesso alla detrazione.
Tale principio si applica anche nel caso di acquisto di immobili oggetto di interventi per la riduzione del rischio sismico effettuati da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare; pertanto, qualora le imprese non abbiamo tempestivamente presentato la predetta asseverazione, gli acquirenti delle unità immobiliari non possono fruire della detrazione pari, rispettivamente, al 75 o all’85 per cento del prezzo di acquisto delle predette unità immobiliari.
Nella medesima circolare è stato precisato anche che la detrazione di cui al comma 1-septies spetta anche agli acquirenti delle unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche 2 e 3, oggetto di interventi le cui procedure autorizzatorie sono iniziate prima del 1° maggio 2019, data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, ma, comunque, dopo il 1° gennaio 2017, anche se l’asseverazione non è stata presentata contestualmente alla richiesta del titolo abilitativo.
Contribuenti forfetari
Con riferimento alla possibilità di optare per la cessione all’impresa del credito corrispondente alla detrazione spettante pur avendo aderito al regime forfetario, l’Agenzia rileva che i soggetti beneficiari della detrazione possono optare, in luogo della detrazione stessa, per la cessione del corrispondente credito alle imprese che hanno effettuato gli interventi ovvero ad altri soggetti privati, con la facoltà di successiva cessione del credito.
In particolare, in ordine ai soggetti che possono esercitare l’opzione, genericamente il credito può essere ceduto da tutti i soggetti beneficiari delle detrazioni spettanti ai sensi dell’art. 16, comma 1-septies, D.L. n. 63/2013.
L’opzione, pertanto, può essere esercitata da tutti i soggetti che possiedono un reddito assoggettabile all’imposta sul reddito e che sostengono le spese, compresi coloro che, in concreto, non potrebbero fruire della corrispondente detrazione in quanto l’imposta lorda è assorbita dalle altre detrazioni o non è dovuta.
Ai fini dell’esercizio dell’opzione, infatti, non rileva la circostanza che il reddito non concorra alla formazione della base imponibile ai fini dell’IRPEF in quanto assoggettato a tassazione separata oppure, come nel caso del contribuente forfetario, a un regime sostitutivo dell’IRPEF medesima.
L’opzione può essere pertanto esercitata anche dai contribuenti che aderiscono al regime forfetario i quali, possono, in linea di principio, scomputare le detrazioni dall’imposta lorda solo nel caso in cui possiedano altri redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo.

BONUS FACCIATE DEL 90% QUANDO VALE ANCHE PER I BALCONI

Con la risposta a interpello n. 289 del 31 agosto 2020 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in tema di bonus facciate e interventi di rinnovo degli elementi costitutivi dei balconi.
La legge di Bilancio 2020 ha introdotto il bonus facciate, pari al 90% delle spese sostenute per gli interventi finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti ubicati in zona A o B.
Con riferimento all’applicazione di tale agevolazione, l’Agenzia delle Entrate ha forniti i primi chiarimenti con la circolare n. 2/E del 2020, nella quale ha evidenziato che – relativamente agli interventi su balconi o su ornamenti e fregi – la detrazione spetta per interventi di consolidamento, ripristino, inclusa la mera pulitura e tinteggiatura della superficie, o rinnovo degli elementi costitutivi degli stessi.
La detrazione, inoltre, spetta, tra l’altro, anche per gli altri eventuali costi strettamente collegati alla realizzazione degli interventi.
L’Amministrazione finanziaria ha chiarito, inoltre, che il bonus facciate spetta anche per le spese sostenute per il rifacimento della copertura del piano di calpestio del balcone e per la sostituzione dei pannelli in vetro che costituiscono le pareti perimetrali del balcone, trattandosi di elementi costitutivi del balcone stesso.
Il bonus facciate spetta, altresì per le spese sostenute per la ritinteggiatura delle intelaiature metalliche che sostengono i pannelli di vetro perimetrali del balcone nonché per la tinteggiatura e stuccatura della parete inferiore del balcone, trattandosi di opere accessorie e di completamento dell’intervento nel suo insieme, i cui costi sono strettamente collegati alla realizzazione dell’intervento stesso.
Il decreto Rilancio ha stabilito che i soggetti che sostengono spese per interventi di recupero o restauro della facciata degli edifici esistenti, ivi inclusi quelli di sola pulitura o tinteggiatura esterna, possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione, per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto fino a un importo massimo pari al corrispettivo dovuto, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi e da quest’ultimo recuperato sotto forma di credito d’imposta, con facoltà di successiva cessione del credito ad altri soggetti, ivi inclusi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari.
In alternativa, i contribuenti possono, altresì, optare per la cessione di un credito d’imposta di importo corrispondente alla detrazione ad altri soggetti, inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari con facoltà, per questi ultimi di successiva cessione.

Bonus pubblicità si (ri)parte dal 1 settembre 2020.

Si apre la finestra supplementare per accedere al bonus pubblicità con le regole speciali previste dal decreto Rilancio e chiarite dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 25/E del 2020. Con il regime straordinario, valido solo per il 2020, il credito d’imposta è concesso nella misura del 50% del valore degli investimenti pubblicitari effettuati su giornali quotidiani e periodici anche on line e su radio e tv locali e, limitatamente al 2020, nazionali non partecipate dallo Stato. Le imprese, i lavoratori autonomi e gli enti non commerciali che hanno già presentato la domanda a marzo, se vorranno ampliare i propri investimenti pubblicitari potranno sostituire la prenotazione già inviata con una nuova, altrimenti resta valida quella già trasmessa. Il relativo credito d’imposta richiesto sarà automaticamente rideterminato con i nuovi criteri.

Nuovo appuntamento con il bonus pubblicità. Il 1° settembre 2020 apre infatti lo sportello straordinario per accedere al credito d’imposta con la disciplina speciale dettata dal decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020, convertito dalla l. n. 77/2020, articolo 186).
Le nuove regole ampliano la platea dei beneficiari e le categorie di spese ammissibili.
Le domande potranno essere presentate fino al 30 settembre 2020. L’ordine cronologico di arrivo non determina priorità nella concessione del bonus. Quindi, nessun click day. Il credito riconosciuto a ciascun soggetto beneficiario sarà determinato mediante ripartizione percentuale delle risorse tra tutti i richiedenti aventi diritto.

Maggiori risorse dal decreto Agosto
Lo stanziamento previsto per l’anno 2020, inizialmente stabilito dal decreto Rilancio a 60 milioni, è stato incrementato dal decreto Agosto (D.L. n. 104/2020, articolo 96) a 85 milioni di euro, di cui:
- 50 milioni di euro per gli investimenti pubblicitari effettuati sui giornali quotidiani e periodici, anche online;
- 35 milioni di euro per gli investimenti pubblicitari effettuati sulle emittenti televisive e radiofoniche locali e nazionali, analogiche o digitali, non partecipate dallo Stato).

Nuovi soggetti ammessi a presentare domanda
Il regime straordinario in vigore nel 2020 amplia notevolmente la platea dei soggetti beneficiari, consentendo la presentazione delle domande a soggetti altrimenti esclusi.
Secondo la disciplina ordinaria (articolo 57-bis del D.L. n. 50/2017 e decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16 maggio 2018), possono beneficiare del credito di imposta – pari al 75% del valore incrementale degli investimenti effettuati – i soggetti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo (indipendentemente dalla natura giuridica assunta, dalle dimensioni aziendali e dal regime contabile adottato) e gli enti non commerciali che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie, sulla stampa quotidiana e periodica, anche on line, e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali, il cui valore superi di almeno l’1% gli analoghi investimenti effettuati nell’anno precedente sugli stessi mezzi di informazione.
Secondo il regime speciale previsto dal decreto Rilancio, il credito d’imposta è calcolato nella misura del 50% dell’intero valore degli investimenti pubblicitari effettuati, e non più sul solo margine incrementale rispetto all’investimento effettuato nell’anno precedente.
Il beneficio spetta quindi in relazione agli investimenti programmati ed effettuati nel 2020: come precisato anche nella circolare n. 25/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate, non è necessario, pertanto, aver sostenuto nell’anno precedente analoghi investimenti sugli stessi mezzi di informazione, condizione invece prevista per il riconoscimento del credito d’imposta “a regime”.
La modalità di calcolo straordinaria (sul totale degli investimenti pubblicitari del 2020) fa venir meno, per l’anno 2020, anche il requisito dell’incremento minimo dell’1% dell’investimento pubblicitario, rispetto all’investimento dell’anno precedente.
Di conseguenza, limitatamente al 2020, il credito d’imposta può essere richiesto anche da imprese, lavoratori autonomi ed enti non commerciali che:
- effettuano investimenti inferiori rispetto a quelli effettuati nel 2019;
- nell’anno 2019 non hanno effettuato investimenti pubblicitari;
- hanno iniziato la loro attività nel corso dell’anno 2020.
Nuovi gli investimenti ammissibili
La disciplina speciale per il 2020 estende anche l’ambito oggettivo di applicazione del credito d’imposta, includendovi anche gli investimenti sulle emittenti televisive e radiofoniche nazionali non partecipate dallo Stato (si veda anche la circolare n. 25/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate).
A seguito di tale previsione, per le domande presentate nella finestra straordinaria, sono ammissibili al credito di imposta le spese per campagne pubblicitarie:
- sulla stampa quotidiana e periodica, anche on line;
- sulle emittenti televisive e radiofoniche, analogiche o digitali, locali o nazionali non partecipate dallo Stato.
Come chiarito nell’ambito delle FAQ pubblicate dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria sul proprio sito:
- nel caso di investitori con regime di IVA indetraibile, l’importo da considerare ai fini dell’agevolazione è costituito dall’ammontare complessivo della spesa pubblicitaria (imponibile + IVA);
- può essere considerato investimento ammissibile anche l’acquisto di spazi pubblicitari effettuato sul sito web di un’agenzia di stampa.
Ai fini del beneficio, gli organi di informazione devono essere in regola con tutte le norme che riguardano la registrazione della testata (giornalistica o radiofonica o televisiva) e devono essere dotati della figura del direttore responsabile.
Sono escluse:
- le spese sostenute per l’acquisto di spazi nell’ambito della programmazione o dei palinsesti editoriali per pubblicizzare o promuovere televendite di beni e servizi;
- le spese per la trasmissione o per l’acquisto di spot radio e televisivi di inserzioni o spazi promozionali relativi a servizi di pronostici, giochi o scommesse con vincite in denaro, di messaggeria vocale, chat-line;
- le spese accessorie, di intermediazione e ogni altra spesa diversa dall’acquisto dello spazio pubblicitario, anche se ad essa funzionale o connessa. Tuttavia, secondo quanto specificato nell’ambito delle FAQ pubblicate dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria sul proprio sito, nel caso di acquisto degli spazi pubblicitari per il tramite di concessionarie, rileva il prezzo riconosciuto alla concessionaria.
Come si presenta la domanda
La comunicazione di prenotazione del credito d’imposta deve essere presentata tramite i servizi resi disponibili nell’area riservata del sito web dell’Agenzia delle Entrate, a cui è possibile accedere mediante l’identità SPID oppure mediante le credenziali Entratel o Fisconline, rilasciate dall’Agenzia delle Entrate, oppure mediante la Carta Nazionale dei Servizi.
La trasmissione può essere effettuata nel periodo compreso tra il 1° ed il 30 settembre 2020 o direttamente, da parte dei soggetti abilitati ai servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate o tramite una società del gruppo (se il richiedente fa parte di un gruppo societario) o tramite gli intermediari abilitati indicati nell’articolo 3, comma 3, del D.P.R. n. 322/1998 (professionisti, associazioni di categoria, Caf, altri soggetti).
Per chi ha già presentato domanda
Le imprese, i lavoratori autonomi e gli enti non commerciali che hanno già presentato la domanda lo scorso mese di marzo, se vorranno ampliare i propri investimenti pubblicitari, dal 1° al 30 settembre 2020 potranno sostituire la comunicazione già inviata con una nuova.
Se non verrà presentata una nuova prenotazione resterà valida quella già trasmessa e il relativo credito d’imposta richiesto, determinato a marzo con i criteri di calcolo allora previsti, sarà automaticamente rideterminato, al termine della nuova finestra temporale, con i nuovi criteri.
Credito di imposta “teorico”
Il credito d’imposta richiesto nella domanda di prenotazione è esclusivamente un credito “teorico”.
Esempio
Si supponga che un’impresa nel 2020 effettui investimenti pubblicitari pari a euro 120.000, di cui:
- euro 80.000 sulla stampa;
- euro 40.000 su radio e TV.
Per il regime straordinario valido nel 2020, il credito di imposta richiesto nella domanda di prenotazione sarà pari al 50% dell’importo totale degli investimenti pubblicitari effettuati.
Per il caso in oggetto, il credito di imposta richiesto sarà pari a euro 60.000, di cui:
- euro 40.000 (80.000×50%) per gli investimenti pubblicitari sulla stampa;
- euro 20.000 (40.000×50%) per gli investimenti pubblicitari su radio e TV.
Il credito d’imposta effettivamente liquidato, infatti, potrà essere inferiore a quello richiesto nel caso in cui l’ammontare complessivo dei crediti richiesti con le domande superi l’ammontare delle risorse stanziate; in tal caso, sarà effettuata una ripartizione percentuale delle risorse tra tutti i richiedenti aventi diritto. In presenza di investimenti su entrambi i media (stampa ed emittenti radio-televisive), il soggetto richiedente potrà vedersi riconosciuti 2 diversi di crediti d’imposta, in percentuali differenziate a seconda delle condizioni della ripartizione su ognuna delle due platee di beneficiari.
Confronto tra disciplina ordinaria e straordinaria

Disciplina ordinaria
Disciplina straordinaria valida nel 2020
Misura del credito di imposta
75% del valore incrementale degli investimenti effettuati.
50% dell’importo totale degli investimenti effettuati.
Soggetti beneficiari
Soggetti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo e gli enti non commerciali che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa cartacea ed online, giornali e sulle radio e televisioni locali analogiche o digitali, il cui valore superi di almeno l’1% gli analoghi investimenti effettuati nell’anno precedente sugli stessi mezzi di informazione.
Soggetti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo e gli enti non commerciali.
Non è necessario:
- aver sostenuto nell’anno precedente analoghi investimenti sugli stessi mezzi di informazione (stampa e radio-tv);
- rispettare la condizione del valore incrementale degli stessi investimenti superiore almeno dell’1% rispetto al valore di quelli effettuati nell’anno precedente.
Investimenti ammissibili
Investimenti pubblicitari effettuati:
- sulla stampa quotidiana e periodica, anche on line:
- sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali.
Investimenti pubblicitari effettuati:
- sulla stampa quotidiana e periodica, anche on line:
- sulle emittenti televisive e radiofoniche locali e nazionali, analogiche o digitali, non partecipate dallo Stato.
Modalità di accesso
- Dal 1° al 31 marzo dell’anno per il quale si chiede l’agevolazione è necessario inviare la “Comunicazione per l’accesso al credito d’imposta”
- Dal 1° al 31 gennaio dell’anno successivo, i soggetti che hanno inviato la “comunicazione per l’accesso” devono inviare la dichiarazione attestante gli investimenti effettivamente realizzati nell’anno agevolato.
- Dal 1° al 30 settembre 2020 apre la finestra straordinaria per inviare la “Comunicazione per l’accesso al credito d’imposta” secondo la disciplina speciale dettata dal decreto Rilancio
- Dal 1° al 31 gennaio 2021, i soggetti che hanno inviato la “comunicazione per l’accesso” devono inviare la dichiarazione attestante gli investimenti effettivamente realizzati nel 2020

Bonus per le sanificazioni chiarimenti dalla circolare n. 25/2020

Il decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020, convertito in l. n. 77/2020), con l’articolo 125 ed al fine di favorire l’adozione di misure dirette a contenere e contrastare la diffusione del Coronavirus, ha riconosciuto ai soggetti esercenti attività d’impresa, arti e professioni, agli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, nonché alle strutture ricettive extra-alberghiere a carattere non imprenditoriale, un credito d’imposta in misura pari al 60 per cento delle spese sostenute nel 2020 per la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati, nonché per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e di altri dispositivi atti a garantire la salute dei lavoratori e degli utenti.

Spese ammissibili
La norma individua con precisione le spese ammissibili all’agevolazione. Trattasi di quelle sostenute per:
a) la sanificazione degli ambienti nei quali è esercitata l’attività lavorativa e istituzionale e degli strumenti utilizzati nell’ambito di tali attività;
b) l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, quali mascherine, guanti, visiere e occhiali protettivi, tute di protezione e calzari, che siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla normativa europea;
c) l’acquisto di prodotti detergenti e disinfettanti;
d) l’acquisto di dispositivi di sicurezza diversi da quelli di cui alla lettera b), quali termometri, termoscanner, tappeti e vaschette decontaminanti e igienizzanti, che siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla normativa europea, ivi incluse le eventuali spese di installazione;
e) l’acquisto di dispositivi atti a garantire la distanza di sicurezza interpersonale, quali barriere e pannelli protettivi, ivi incluse le eventuali spese di installazione.

Le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta sono state stabilite dal provvedimento 10 luglio 2020 dell’Agenzia delle Entrate, mentre i primi chiarimenti interpretativi sono stati forniti dalla circolare 10 luglio 2020 n. 20/E dell’Agenzia delle Entrate.
Certificazione delle attività di sanificazione
Proprio nel documento di prassi appena richiamato, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che, in relazione alle spese per attività di sanificazione degli ambienti e degli strumenti, con riferimento alle attività di sanificazione deve trattarsi di attività finalizzate ad eliminare o ridurre a quantità non significative la presenza virus che ha determinato l’emergenza epidemiologica COVID-19. Inoltre, è stato ulteriormente precisato che tale condizione risulta soddisfatta qualora sia presente apposita certificazione redatta da operatori professionisti sulla base di protocolli di regolamentazione vigenti.
La centralità di questi aspetti, unitamente alla vaghezza del chiarimento interpretativo, hanno indotto i contribuenti a chiedere ulteriori chiarimenti in merito alla certificazione ed ai protocolli; quesiti che hanno trovato riscontro nella recente circolare 20 agosto 2020 n. 25/E dell’Agenzia delle Entrate.
Con riguardo ai “protocolli di regolamentazione”, il documento di prassi chiarisce che è anzitutto necessario fare riferimento alle indicazioni contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali, i cui contenuti sono trasfusi nell’allegato 12 al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 maggio 2020, ovvero in ulteriori protocolli, anche a carattere territoriale, sottoscritti dagli esercenti attività d’impresa e dagli enti territoriali, secondo le indicazioni ivi contenute temporalmente vigenti alla data di esecuzione degli interventi.
Ne consegue che saranno gli operatori della sanificazione a dover predisporre una certificazione che attesti che le attività poste in essere siano coerenti con quanto indicato nel predetto protocollo e, perciò, finalizzate ad eliminare o ridurre a quantità non significative la presenza del Coronavirus.
Pulizia impianti di condizionamento
L’altro ambito in cui sono intervenuti i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate riguarda la pulizia degli impianti di condizionamento.
Il dubbio che ha portato alla formulazione del quesito cui è stata fornita risposta con il documento di prassi deriva dalla constatazione che nelle “Linee guida per la riapertura delle attività economiche e produttive della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome dell’11 giugno 2020”, in relazione alle diverse attività produttive è previsto che: “Per gli impianti di condizionamento, è obbligatorio, se tecnicamente possibile, escludere totalmente la funzione di ricircolo dell’aria. In ogni caso vanno rafforzate ulteriormente le misure per il ricambio d’aria naturale e/o attraverso l’impianto, e va garantita la pulizia, ad impianto fermo, dei filtri dell’aria di ricircolo per mantenere i livelli di filtrazione/rimozione adeguati. Se tecnicamente possibile, va aumentata la capacità filtrante del ricircolo, sostituendo i filtri esistenti con filtri di classe superiore, garantendo il mantenimento delle portate. Nei servizi igienici va mantenuto in funzione continuata l’estrattore d’aria”.
Non è chiaro, quindi, se le attività di pulizia degli impianti di condizionamento rientrino tra le spese “sostenute per la sanificazione degli ambienti nei quali è esercitata l’attività lavorativa e istituzionale o per la sanificazione degli strumenti utilizzati nell’ambito di tali attività” il cui sostenimento dà origine al credito d’imposta.
Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate, richiamata anche la precedente circolare n. 20/E del 2020, ritiene che l’ordinaria attività di pulizia degli impianti di condizionamento non rientri tra quelle di sanificazione, così come qualificate dalla circolare n. 20/E del 10 luglio 2020.
Di contro, le spese di pulizia degli impianti di condizionamento, diverse da quelle sostenute per le ordinarie prassi di manutenzione degli impianti e dei relativi filtri, finalizzate ad aumentare la capacità filtrante del ricircolo attraverso, ad esempio, la sostituzione dei filtri esistenti con filtri di classe superiore, garantendo il mantenimento delle portate, mantenendo livelli di filtrazione/rimozione adeguati, possono rientrare tra quelle che rilevano ai fini della determinazione del credito d’imposta.