Con la legge Europea 2019-2020 (Legge 23 dicembre 2021, n. 238), recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, finalmente il legislatore interviene su una evidente stortura legislativa che, per quasi due anni, ha appesantito e creato tensioni nei rapporti tra stazioni appaltanti e operatori economici nell’ambito del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016). In realtà, le origini della questione sono ancor più risalenti perché devono rinvenirsi nel decreto Sblocca cantieri (D.L. n. 32/2019) in cui, per la prima volta, venne inserita la norma, poi espunta in fase di conversione. Tale risultato fu possibile anche grazie all’attenzione riservata da subito alla questione da aziende e associazioni di categoria, che sollevarono immediatamente le principali problematiche che la norma avrebbe comportato e formularono proposte emendative di fatto oggi recepite.
Così, dopo molti colpi di scena ed emendamenti scomparsi all’ultimo momento (peraltro anche relativi al disegno di legge Europea oggi approvata), si prova davvero a chiudere la procedura di infrazione n. 2018/2273 in materia di contratti pubblici.
La procedura di infrazione a carico dell’Italia
Pare utile ricordare che tale procedura – inviata all’Italia dalla Commissione europea il 24 gennaio 2019 – nasceva dalla constatazione che l’Italia non avesse completamente recepito le direttive n. 2014/23/UE e n. 2014/24/UE le quali prevedono, accanto all’ipotesi di esclusione obbligatoria per irregolarità fiscali definitivamente accertate (ipotesi, questa, correttamente e prontamente recepita dall’Italia), anche una “facoltà” di esclusione in tutti quei casi in cui la stazione appaltante fosse stata comunque a conoscenza della situazione di irregolarità fiscale dell’operatore economico.
Le modalità con le quali il legislatore del decreto Semplificazioni (D.L. n. 76/2020) aveva tentato di adeguare l’ordinamento interno ai precetti comunitari erano stati quantomeno “maldestri”.
Il principale vulnus derivava dal fatto di aver letteralmente “tirato fuori dal cilindro” il concetto di violazioni “non definitivamente accertate” – non presente nelle direttive – senza peraltro averne declinato con precisazioni il concetto. Inoltre, la formulazione letterale dell’art. 80, comma 4 del Codice dei contratti pubblici, ancorandosi agli “obblighi di pagamento” (che dovevano essere inadempiuti), finiva per creare un forte disorientamento in capo a tutte le stazioni appaltanti che, seppure in qualche modo “protette” dalla non obbligatorietà dell’esclusione, dovevano comunque porsi il problema di effettuare una valutazione sul punto. Di certo, i certificati dei carichi pendenti rilasciati dall’Agenzia delle Entrate – anche a causa del lungo blocco della riscossione determinatosi a causa della pandemia e che li aveva “ingrossati” di cartelle non notificabili (e quindi neanche pagabili) – non contribuivano a semplificare la faccenda.
Quello che mancava, in ultima analisi, era una guida “tecnica” che aiutasse gli operatori a definire il corretto perimetro della facoltà di esclusione. Tale ausilio, che ben avrebbe potuto essere fornito autenticamente dalla norma stessa, pare ora essere finalmente destinato ad arrivare.
Con alcune importanti modifiche all’art. 80, comma 4, quinto periodo del D.Lgs. n. 50/2016, la legge Europea fa una piccola rivoluzione.
Nulla cambia per le violazioni definitivamente accertate, per le quali l’art. 80, comma 4 continua a prevedere:
- l’obbligo di esclusione per violazioni gravi e definitivamente accertate;
- una definizione di “gravità” che, per le violazioni fiscali, è pari a 5.000 euro (per effetto del rinvio all’art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973);
- una definizione di “violazioni definitivamente accertate”, e cioè quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione.
Molto cambia, invece, per le violazioni “non definitivamente accertate”.
Permane la facoltatività dell’esclusione e permane il requisito che è la stazione appaltante ad avere l’onere di essere “a conoscenza e adeguatamente dimostrare” lo stato di inadempienza dell’operatore economico. Quest’ultimo punto è particolarmente importante dal momento che la norma non impone all’operatore economico di esibire alcunché alla stazione appaltante, neanche se è questa a richiederlo.
Muta, invece, anzitutto la soglia di gravità per le violazioni non definitivamente accertate. Se prima, infatti, tale soglia coincideva con quella prevista per le violazioni definitive (i.e. 5.000 euro per rinvio all’articolo 48-bis, D.P.R. n. 602/1973), ora tale carattere di gravità dovrà essere stabilito “da un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e previo parere del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente periodo, recante limiti e condizioni per l’operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate che, in ogni caso, devono essere correlate al valore dell’appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro”.
Il decreto attuativo, quindi, dovrà fissare i “limiti” all’operatività della norma, stabilendo una soglia (che potrebbe essere anche proporzionale al valore dell’appalto o ad altri valori ovvero ancora determinata secondo altre logiche) oltre la quale la violazione agli obblighi di pagamento dovrà definirsi “grave”. Tale soglia, però, non potrà mai essere di importo inferiore a 35.000 euro, vale a dire sette volte superiore rispetto a quella attualmente prevista.
Il medesimo decreto – e questo, se possibile, è ancora più importante – dovrà anche fissare le “condizioni” per l’operatività della causa di esclusione per le irregolarità non definitive e quindi riempire di significato tecnico il concetto di “obblighi di pagamento”. Non può infatti dimenticarsi che l’obbligo di pagamento non è automatica conseguenza dell’emissione di un provvedimento non definitivo dal momento che, fino alla definitività di tale provvedimento, potrebbe non esservi alcun obbligo di pagamento se non nei limiti di quanto esigibile a titolo di riscossione a titolo provvisorio e di riscossione frazionata in pendenza di giudizio ai sensi del D.P.R. n. 602/1973 e del D.Lgs. n. 546/1992. Peraltro, anche in questi casi, il contribuente avrebbe a disposizione molti strumenti per sospendere l’obbligo di pagamento quali, ad esempio, la sospensione amministrativa o giudiziale o la sospensione ex art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/1992.
Da quando decorrono le novità?
Quanto alla decorrenza delle novità, fermo restando che la legge Europea entrerà formalmente in vigore il 1° febbraio 2022 (ordinaria vacatio legis) e che le novità si applicano agli appalti successivi a tale data (si veda l’art. 10, comma 5), è tuttavia evidente che la nuova norma non sarà di fatto applicabile fin quando non verrà adottato il provvedimento attuativo. In tal senso, peraltro, milita il chiaro dato letterale: la norma, infatti, prevede espressamente che il decreto attuativo deve stabilire, inter alia, le “condizioni per l’operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate”. Detto altrimenti, l’adozione delle disposizioni attuative è “condizione per l’operatività” tout court della nuova disciplina che, dunque, dovrà attendere necessariamente l’intervento normativo secondario. Né sarebbe possibile una diversa interpretazione, dal momento che la stazione appaltante non avrebbe nemmeno quegli elementi minimi necessari per effettuare le proprie valutazioni, primo tra i quali il concetto di “gravità”.